Omelia per Arturo Curà

L'ultimo saluto ad Arturo Curà avvenuto attraverso le sue diverse passioni
L’ultimo saluto ad Arturo Curà è stato "piacevole", per capirci si è svolto "a modo suo". C’è stata la dimostrazione, da parte di tutti, di volerlo salutare in maniera diversa, da vero artista qual era. Sono “contento”.
Lunedì sera, per la recita del Santo Rosario, è stato onorato con tre splendidi brani interpretati dalla Corale Lirica Valtaro: Panis Angelicus di San Tommaso d'Aquino, La Vergine degli Angeli di Verdi e Ave Verum di Mozart. Durante la Messa, invece, sono state eseguite tre delle sue canzoni, a interpretarle il suo abituale gruppo musicale (Fiorello, Massimo e Franco): I giorni delle nuvole bianche, Serenata e A rundaneina, quest’ultima con un’interpretazione veramente commovente, per chi conosce il suo testo malinconico può capirne il motivo.
Don Angelo, suo amico e compagno di profondi confronti, ha coronato l’estremo saluto con un’omelia meritevole di apprezzamento, adeguata alla circostanza, all’uomo, all’artista.
Per raccontarlo ha saputo usare i “tasti” giusti, proprio gli stessi che Arturo utilizzava sapientemente: la narrazione, la pittura, il cinema, la musica e le Sacre Scritture. È per questo motivo che ho trovato giusto condividerla con chi non è riuscito a partecipare alla funzione religiosa o semplicemente per chi desiderasse leggere una piacevole riflessione.

Gigi

"Omelia per Arturo Curà" di Don Angelo Busi

Alla base della scalinata di fianco alle scuole alcune classi ascoltano attentissime col naso all’insù. Antonio, indaffarato nei suoi pensieri, va avanti e indietro, sale e scende i gradini e fa ampi gesti dimostrativi ai bambini. Ecco. Cristo con gli apostoli passerà da questo angolo per salire le scale. Voi farete la folla che lo segue, ma ci vogliono altre classi, anche le medie, se occorrerà. Facciamo una prova. Partite da laggiù e venite avanti senza urtarvi o pestarvi i piedi, agitate le braccia perché avrete un ramo d’ulivo in mano. Fate la faccia allegra perché Gesù che entra a Gerusalemme è una festa. Mi raccomando, non guardate mai verso di me che avrò la cinepresa in mano. Attenzione, vi dirò passo dopo passo quello che dovrete fare, tanto il film è muto… Avanti, proviamo!”.

E’ un passo del libro di Arturo Curà “Piccole Passioni”. Il protagonista del racconto è Antonio Clabassi, giovane insegnante che, salito sul Taranto-Milano, arriva al Borgo della Valtaro, prende alloggio all’albergo Roma e inizia ad insegnare nelle scuole elementari del paese dove nei giorni che precedono la Pasqua i bambini mettono in scena la Passione con il maestro come animatore, regista scenografo.

Arturo è stato un uomo innamorato della vita che è una possibilità straordinaria che ci è data. Ma è anche una possibilità unica. Non puoi permetterti il lusso di buttar via neppure un frammento di vita. Devi invece raccoglierli, questi frammenti, e "montarli" in sequenza, devi costruire la tua esistenza utilizzando i tuoi talenti ma anche i tuoi limiti, i tuoi errori, le tue sconfitte. Ecco perché Arturo aveva talento da vendere: perché ci vuole talento e fatica per mettere insieme tutti i pezzi della vita.

E’ bello vedere uno come lui che si mette a fianco dei bambini e di tutti quelli che lo hanno incontrato col desiderio di cercare il senso di ogni pezzo di vita. In diverse occasioni lo osservavo nei suoi spettacoli quando cantava, lanciava battute, raccontava. Non erano spettacoli, erano “prove di vita”. Sì, perché la vita va provata, bisogna che qualcuno ci insegni come affrontarla, come stare dentro alla notte, come gestire le paure, come inventare soluzioni.

Ero ammirato dalla sua voglia di rendere elegante l’esistenza, trasformandola in un racconto, in una canzone, in un sogno. L’arte non è una perdita di tempo, è la salvezza del tempo. Mi piaceva il suo modo umile di fare arte, senza far pesare niente perché se hai avuto dei talenti devi solo spenderli, non devi nasconderli sotto terra come il personaggio della parabola che risponde al padrone che gli chiede conto del talento: “Ho avuto paura e sono andato a nasconderlo”. In queste ore credo che tutti abbiamo potuto riflettere sulla testimonianza di Arturo.

Siamo dispiaciuti perché oggi abbiamo particolarmente bisogno di persone con talento e umiltà. Mi è apparsa immensa la sua discrezione, il non dire nulla per dire tutto. Ho anche pensato al disastro che accade quando si lanciano slogan, si urla con furore, si dice tutto senza comunicare nulla. L’arte di Arturo era fare senza dire. Cercava ispirazione, non spiegazione. L’ispirazione viene dallo Spirito. Per questo San Paolo nella prima lettura ci ha confortato: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo. - Abbà! Padre!”.

C’è un piccolo episodio di qualche mese prima che iniziasse a manifestarsi la sua malattia. Arturo mi ha cercato per consegnarmi questo suo quadro aggiungendo queste scarne parole: “Questo è per lei”.
Vi è rappresentato il corpo di Cristo su uno sfondo rosso con un sudario bianco. È un corpo provato, sofferente. Ho visto poi che aveva fatto un congegno con un piccolo neon all’interno, nascosto. Il risultato che ora vedrete è che il corpo di Cristo è illuminato, ma non completamente perché resta una parte in ombra. C’è una luce invisibile e misteriosa.
Credo che Arturo abbia cercato nell’umanità di Cristo una luce, una speranza. Come aveva fatto Pier Paolo Pasolini nel 1964 con lo straordinario racconto del “Vangelo secondo Matteo”.

Quel film con il preistorico bianco e nero era prima di tutto un’opera di pittura e di letteratura, una raccolta di icone in movimento attraverso cui filtra un sentimento del sacro abbagliante, ma mai retorico: sequenze di parole, di letture, di sussurri, di silenzi, di primi piani innocenti, di gesti ultimi, di paesaggi infiniti e brulli. Anche per Arturo, come per Pasolini, la profondità dell’esistenza non può essere intaccata dalla chiacchiera e dalla volgarità. Può solo essere evocata con la bellezza della parola, del colore, della musica, della luce. Ho cercato di comprendere il senso di quel dono che Arturo ha voluto lasciarmi. Forse nel corpo di Cristo non tutto illuminato c’è anche il racconto della parte oscura della vita, la malattia e anche la morte. Abbiamo ascoltato le parole del vangelo di Luca: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”. Credo che la lampada sempre accesa abbia aiutato Arturo anche nella prova più difficile dove non possiamo condurre la nostra regia ma dobbiamo affidarci alla regia di chi ci ama, il Signore insieme a tutti coloro che ci vogliono bene.

Il viandante cerca durante la notte la luce. Non è che la notte è illuminata a giorno. La notte è sempre oscura, per tutti. Ma il viandante porta con sé la lampada accesa e con quella dà luce alle cose e ai volti che incontra. Il viandante non lascia cose, lascia una traccia luminosa.

Grazie, Arturo, per essere stato anche tu un viandante nella notte. Chiedo ai suoi amici "storici" di accompagnare questo momento con la canzone che racconta il viaggio di una rondinella che va a svernare in Africa ma per tornare al suo paese, Bedonia. Arriva sfinita ma prima di cadere a terra sente i rintocchi del campanile della "Pieve" ed ora sa che è arrivata: “Din don dan che festa sarà…”.

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VIDEO: l'ultimo saluto. TG di RTA



5 Commenti
  1. Fiorello Biacchi

    Nel momento del dolore, dare l'ultimo saluto ad un amico col quale hai condiviso momenti indimenticabili di vita,ricordando gli anni dei Dinosauri per arrivare alle decine di serate con le sue canzoni, che inspiegabilmente come per magia oggi sembravano ancora piu belle, mi veniva in mente una frase di Dalla: "L'assoluto mistero della musica", che rimane tale non solo per chi la esegue, ma per tutti.
    Ebbene cantare le sue canzoni è stato come sentire presenza acconto a me,aspettavo solo che mi dicesse: "azzz mi hai rovinato la canzone". Spero che non sia stato cosi, in tutti i modi Arturo, sarai sempre con noi, con la tua arte che ci ha fatto sognare e ci fa amare ancora di piu tutti gli istanti preziosi di questa vita che tu celebravi con le tue opere.

  2. Trilussa

    Un'altra fotografia che parla. Il diavolo e l'acquasanta. La pecorella smarrita e il buon pastore. Don Angelo ha saputo bene interpretare la filosofia che stava alla base di Arturo Cura': lo spirito ribelle disposto a farsi accarezzare.

  3. Ruggero

    Arturo è stato “arte fatta persona” con la sola limitazione di non essere nato vicino ai salotti che contavano, avrebbe potuto seguire un percorso diverso e importante come era nelle sue indubbie capacità!!
    Forse non era nemmeno quel successo la cosa che maggiormente cercava e gratificava.
    Personalmente lo ringrazio di cuore per aver creduto in un folle progetto per Bedonia di alcuni anni fa dandomi fiducia dopo una sola telefonata!! Da allora i suoi Arlecchini sono e saranno in giro per il paese ad ogni carnevale!!
    Un sentito abbraccio a Francesco e Valentina con cui ho passato alcuni anni di spensieratezza giovanile insieme a mio fratello!!

  4. Remo Ponzini

    Ho letto con molto piacere le considerazioni esposte con compiutezza e sapienza da Mons. Angelo Busi. Sapevo del rapporto amorevole e fraterno che era sorto tra i due da diversi anni. Me ne aveva fatto cenno quando l'incontravo ed era entusiasta di questo sacerdote che lo aveva capito in tutte le sfaccettature del suo complesso animo. Con Lui si confrontava e si esaminava trovando comprensione e benevolenza. Una cosa rara per lui che era caratterialmente critico ed avulso dagli ossequi e dalle smancerie.

    La cerimonia funebre è stata allestita con molta competenza ed ha tenuto conto della complessità artistica ed intellettiva del nostro Arturo. Gli hanno confezionato un vestito conforme ai canoni estetici che aveva profuso a man basse nelle sua esistenza. Ruggero ha evidenziato quanto il suo animo rifuggisse dagli ambienti salottieri che lui ripugnava. Ed è vero. Io stesso gli suggerii diverse volte di trarre profitto dalla sua arte ma lui mi rispondeva con una occhiataccia di sbieco che era più esplicita di qualsiasi discorso.

    Un gentile ricordo a tutte le persone che gli sono state accanto.

  5. Lucia Curà

    Caro Gigi, questo per me è un mezzo non usuale per esprimermi, tuttavia sento il dovere insieme a tutta la famiglia Curà, di ringraziare e abbracciare "TUTTI" per la sincera e corale dimostrazione di amore che le nostre Comunità sanno ancora esprimere!
    Grazie a tutti.

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