San Giovacchinetto
Fino alla fine degli anni '50 San Giuvachén si festeggiava il 16 agosto nei prati intorno a Bedonia
Mi racconta che allora non si diceva andiamo a fare un picnic, ma "anémma a fê San Giuvachén". La data canonica era quella del 16 agosto, così le donne che preparavano le torte di patate usando il condimento “du ròstu”, preparato per il giorno di Ferragosto, in occasione della festa di Maria Assunta.
Per l’occasione si riunivano nei prati intere famiglie e il posto d’onore era sempre riservato alle “nonne” ovvero le suocere, pur mandando giù bocconi amari.
Seduti su una coperta si mangiavano in allegria le nostre torte di patate, di riso e d'erbette, per poi terminare la giornata con un bel canto e una fetta “de canestréllu cu levê”. I bambini erano invece intenti a salire sugli alberi di mele e a giocare “aa sümmagatta” (capriole), “au tìngulu” (nascondino) e “aa lippa” (piroetta di un legnetto).
Questa usanza era stata ripristinata nei primi anni ’80 da Renato Cattaneo e si svolgeva nel Parco della Peschiera, c’era chi si portava le torte da casa o chi le acquistava sul posto, ma l’obiettivo della manifestazione era soprattutto quello di promuovere la nostra cultura culinaria. Sul posto si vendevano le confezioni di “crocetti con il sugo di lepre”, i salumi nostrani di Chiappari e “Panbiancu”, mentre la selezione dei vini piacentini era stata affidata a Carlo Cavalli e quelli della cantina di Albarola del Conte Otto Barattieri erano i preferiti.
Questa ricorrenza ha avuto però vita breve, solo per qualche anno, per molti, ma non per tutti, infatti Virginia mi dice che o fino a pochi anni fa la tradizione si era mantenuta tra un gruppo di donne bedoniesi che per l'occasione si ritrovavano in Peschiera: Andreina Bassi, Teresina de Giulian, Mina Cavalli, Anna du Carlettu, Giulia, Maria Cavallina, Peppina, Ida e Ninetto Delgrosso, Maria Valla, Adele Cavallina, Lauretta Pappadà, Bice, ecc.
Non è questo un motivo più che valido per ripristinarla, in fondo lo scopo è ancor oggi quello di allora… “non perdersi per strada”.
Hanno collaborato a questo post:
Andavo a Cavignaga da zia genoveffa il giorno prima e poi la mattina andavamo su a piedi, sempre bellissima festa
....sta cosa mi era sfuggita, non lo sapevo e non ricordo neanche la parentesi dei primi anni 80. Bello!
Non perdiamo queste belle tradizioni. Forse x riprendere l'esempio dell'edizione degli anni 80, oggi, ci vorrebbero 874.756.432 permessi e soprattutto fare attenzione a "far pochi decibel" però sarebbe davvero una bella idea.
Lo sapevate che fino a pochi anni fa la tradizione si era mantenuta in Peschiera tra un gruppo di donne bedoniesi? Andreina Bassi, Teresina de Giulian, Mina Cavalli, Anna du Carlettu, Giulia, Maria Cavallina (tua vicina di casa in via V. Veneto), Peppina, Ida e Ninetto Delgrosso, Maria Valla, Adele Cavallina, Lauretta Pappadà, Bice, ecc
Gigi, ricorda alla Maria Pina che per "San Giuvachen" si andava anche sul Pelpi in Pian da Cà, salendo col mulo carico di vettovaglie e di viveri da Monti. Poi arrivava u Giuvanen du Peritu a cavallo di un bel cavallo bianco nel bel mezzo dello spuntino. Erano anche state fatte delle foto.
Bellissimo racconto..... mi ricorda la mia fanciulezza a Bedonia!!
Che dire di questa come di altre belle rievocazioni di sane usanze fatte dal nostro Gigi con l'ausilio della Sig.ra Agazzi Cattaneo?
Anzitutto, un doveroso "grazie" a quest'ultima, che oltre ad avere una buona esperienza di quanto è stato, ha una buona memoria e la generosità per trasmetterci queste informazioni, preziose direi ancor più sul piano umano e sociale che su quello prettamente storico: anche se non è certo escluso che abitudini durate fin quasi a noi possano risalire, mutatis mutandis, a vari secoli addietro.
Ma, ripeto, è appunto sul piano del vissuto e delle capacità di vivere che si gioca questa importante partita: riportare infatti in primo piano i modi, i toni e perfino le sfumature del nostro passato è, infatti, essenziale per Bedonia come per ogni località, in quest'epoca-caterpillar, che pare fatta per fare piazza pulita e terra bruciata di quanto le è venuto prima.
Precisamente in tal senso, vorrei far notare, il sottoscritto per conto del "Veterrima Plebs" -di cui anche Gigi fa parte- organizza da diversi anni, nella piazza più centrale della nostra Bedonia, una festa da ballo la più tradizionale possibile, che ha un riscontro e un apprezzamento ormai stabile tra la popolazione, soprattutto in alcune fasce di età.
E sempre in questo senso, mi auguro davvero che ci sia chi voglia ancora fare come quel simpatico gruppo di Bedoniesi di cui ho letto qui sopra: che, senza chiedere permessi (e ci mancherebbe! ci vuol forse un permesso anche di essere vivi?), obbedendo a un bisogno profondo di socialità (e quasi di ritualità...) si ritrovavano nel giorno stabilito per mantenere la vecchia e bella usanza, cosa che evidentemente li faceva star bene...
Ecco, signori miei, la vera "qualità della vita" ed il vero "progresso".
In casa Silva si festeggiava "al fresco" sotto la pergola di glicine, in compagnia delle anziane zie e nonna, a loro non si poteva convincerle ad uscire dal loro giardino.
Grazie per il ricordo gradito.
Un saluto deferente a una degli ultimi rappresentanti di quella che, seconda forse ai soli Tedaldi, è stata la casata più distinta e rappresentativa dell'arcisecolare storia di Bedonia e dell'intero nostro comprensorio.
Gentile Sig.ra Isabella, leggere, dopo anni, il Suo nome appena dopo il mio mi ha procurato una rara emozione: a quando una sorpresa molto più gradita, nel vederLa ancora presente alla Pieve?
L'occasione mi è stata però foriera di una triste notizia, essendomi informato che, da solo pochi mesi, l'illustre studioso Suo consorte non è più tra noi: mi permetta di ricordarlo, avendo avuto la fortuna di conversare con voi in anni ora lontani, e di immaginarlo nel più alto di quei Regni descritti dal sommo Dante, al cui studio egli ha dedicato l'acume di un'intera vita.
Su quanto la Sig. Silva ci ha gentilmente comunicato, varrà forse la pena di osservare che il festeggiare in disparte la ricorrenza d'agosto, nel proprio "hortus conclusus", potrebbe ben essere un retaggio di quel processo di distinzione sociale caratteristico di Bedonia, come di tutte le borgate civili, nel corso dell'Età Moderna ('500-'700).