I matti di Volterra
Viaggio nell'ex Ospedale Psichiatrico realizzato nell'800 e che arrivò ad ospitare fino a 4800 pazienti
L'Ospedale Psichiatrico di Volterra ebbe origine nel 1888, ma fu il notevole ampliamento del 1902 a farlo diventare il manicomio italiano più grande: 4.800 gli internati provenienti da tutta Italia. La struttura cessò la funzione nel 1978, anno in cui la Legge 180 “Basaglia” pose fine all'esistenza dei manicomi. È solo da quel momento che una persona con disturbi è stata considerata prima di tutto un essere umano e non un “matto” o uno “scemo di guerra”, questo il nome affibbiato ai reduci.
Il manicomio è un luogo che non ha colori. Tutto è spento. La stanza bianca era larga 4 passi, con un letto bianco, una sedia bianca, una finestra rettangolare con le sbarre bianche, ovviamente tutto realizzato in ferro. Gli uomini da una parte, le donne dall’altra. Poi ulteriormente separati: quelli puliti e quelli sudici, quelli consegnati all’interno e quelli sconsegnati liberi per il giardino, infine i pericolosi, gli innocui e i criminali.
Gli internati non erano solo malati di mente, ma inviati lì dopo una denuncia per disturbo della quiete pubblica, oltraggio a pubblico ufficiale, uso eccessivo di alcool, donne fatte ricoverate dal marito per tradimento o gelosia, ma anche omosessuali, disabili e “poveri cristi”, spesso indicati all’autorità dal medico del paese dietro segnalazione di un sindaco, prete, maresciallo o farmacista. Molte di queste persone entravano “normali” e uscivano “sceme”.
Tempi scanditi da colazione, pranzo e cena. C’era chi si sedeva sulla panchina da mattina a sera, chi si aggirava trascinando il proprio peso, chi invece grattava i muri con la fibbia della cintura creando vere opere d’arte, Oreste Fernando Nannetti ne è la dimostrazione, altri invece, magari gli abili o i normali, potevano lavorare per la struttura, gratis ovviamente. I casi gravi invece venivano legati al letto, trattati con l’elettroshock o utilizzati per la “scienza”, anche se la destinazione di molti si concludeva a San Finocchi, il “Cimitero dei matti”, come lo chiamano a Volterra.
Ora vi starete chiedendo il motivo della visita a questo luogo infausto, plausibile domanda, vi posso perciò dire che quel giorno non ero il solo a mostrarmi interessato a conoscere cosa accadeva in quelle stanze: per tre giorni, dalle 10 alle 15, ad ogni mezz’ora, 25 persone venivano guidate attraverso quegli ambienti. Le visite sono organizzate dall'Associazione "I luoghi dell'abbandono" e gestite con l'aiuto di "Inclusione Graffio e Parola di Volterra", una Onlus che rivolge i proventi al recupero culturale dell'ex manicomio.
Mia madre mi ha sempre raccontato come la nostra zia finì in manicomio a 27 anni e di come urlasse "Io non sono matta". Dopo ripetuti dissidi famigliari il medico di famiglia la dichiarò "isterica" e venne collocata nella struttura psichiatrica di Colorno. È poi morta quando ero piccola senza averla conosciuta. Tristezza assoluta
Dei veri lager, che tristezza.
Ho visitato ripetutamente Volterra beandomi delle bellezze infinite che questo antico paese conserva. Dal museo etrusco, la piccola ma stupenda pinacoteca, gli straordinari palazzi e le semplici ma armoniose abitazioni medioevali.
Ma non avrei mai immaginato che fosse stata la sede del più grande manicomio d'Italia. Evidentemente ho guardato senza informarmi adeguatamente.
La vita in questi manicomi, che venivano chiamati bonariamente cliniche psichiatriche, deve essere stata un inferno per tutti. Se ne parlava a bassa voce come se fosse un argomento da non affrontare. Quando qualcuno veniva internato in quello di Colorno si leggeva nel volto delle persone una immensa pietà perchè filtravano le voci di ciò che accadeva in quei luoghi di tortura, di elettroshock senza anestesia, di orrori e di coercizioni di ogni genere.
Ricordo che quando vennero chiusi ci furono anche molte perplessità ma in definitiva quella legge fece diventare la nostra Italietta una nazione più civile.