Il montanaro munto

Lo sfogo di un nostro abitante: disservizi, costi, inefficienze. Ecco cosa accade a chi vive in Appennino
Tutti conoscono la teoria della "mucca da mungere": la stessa situazione sta accadendo agli abitanti della montagna minore italiana, nel disinteresse più totale. Anzi, quasi nell'odio di certi personaggi pubblici, che vedono la montagna solo come un problema, una scocciatura priva di ritorno elettorale: a parole di circostanza si dicono sensibili, nei fatti contrari a qualsiasi intervento di sostegno efficace alla sopravvivenza. Almeno si limitassero ad una semplice indifferenza: certi soggetti, tutte le volte che si muovono, fanno solo danni.

Esiste infatti una montagna ricca e autonoma, quella alpina dello sci e dei finanziamenti a pioggia, dove non ci sono mai problemi (se non per fenomeni meteo-ambientali), dove i soldi e il lavoro ci sono. Dove servizi e investimenti aumentano, ogni anno. E poi c'è la montagna minore, quella un po' più povera, lontana dai media, quella dell'Appennino, non meno bella e ricca di opportunità e possibilità turistiche, spesso tenuta in piedi dai sacrifici dei pendolari e dalle pensioni, degli agriturismi e dal popolo delle seconde case, però completamente dimenticata dalla politica e dalla istituzioni. Una montagna strategica, in crisi demografica da decenni, che copre oltre un terzo della superficie dell'Italia.

Da un lato, luoghi e ambienti unici, spesso sfruttati nel peggiore dei modi da pseuso-imprenditori, in realtà avventurieri internazionali scambiati erroneamente per "investitori", con progetti non sostenibili e purtroppo supportati da interventi privi di un minimo di logica; dall'altro, ospedali che chiudono, servizi essenziali che cessano, scuole sempre in discussione, strade pessime. Tasse in escalation, senza nessuno sconto per chi resiste e fa da presidio territoriale. Per ritirare una semplice accomandata in posta, viste le "razionalizzazioni dell'orario" e la chiusura degli sportelli, alla fine bisogna prendere un permesso al lavoro.

Così come quando si vuole partecipare alla vita pubblica, alle attività amministrative: ci devi rimettere del tuo. Ogni volta che piove, che grandina, che nevica, è poi un disastro: settimane (settimane !) senza energia elettrica, senza riscaldamento, senza telefoni, senza cellulari; senza Adsl, alla faccia di chi vuole lavorare a distanza. Ma anche senza treni, senza corriere. Non parliamo poi di rapporto tra i costi e la qualità dei servizi; chi è costretto a viaggiare in auto, tra una miriade di perenni e spesso incomprensibili cantieri, spende più di pedaggio che di carburante: l'Autocisa è una delle autostrade più care d'Italia; e con il consenso di quei politici che percepiscono lauti gettoni di presenza in organismi di controllo.

In quasi tutta la montagna di Parma, con l'avvento del digitale terrestre, il servizio Rai è peggiorato, anzi in molti luoghi, pur pagando il canone obbligatorio nella bolletta Enel, si prendono a malapena, e solo quando non c'è maltempo, un paio di canali, spesso con i TG3 di altre regioni. Paghi per venti e vedi male per tre: problemi tuoi. In compenso i crinali più belli sono deturpati da torri, antenne e parabole. Per sopravvivere si pagano bollette più care, si devono sostituire i pneumatici da neve ogni anno, si devono cambiare le auto più spesso, usurate da percorsi di guerra chiamate strade.

Poi l'assurdo dei servizi idrici con le "gestioni tanto ottimizzate dalla politica" che si vedono costretti a lasciare le famiglie e le utenze professionali senza acqua in autunno...con le sorgenti perenni a pochi metri dalle case. Siamo arrivati al punto di dover acquistare acqua, con autocisterne che integrano le carenze idriche. E pensare che sotto i piedi, in ogni angolo, abbiamo l''oro" azzurro: centinaia di fonti di acqua purissima che sono la peculiarità dell'Appennino, ma che poco alla volta stanno finendo in mano delle multinazionali private, e per pochi spiccioli.

Con il consenso inspiegabile della politica: con una tassa di pochi centesimi a metro cubo di acqua (mille litri!) si avrebbero risorse per mantenere decorosamente tutti i servizi necessari alla sopravvivenza in montagna, aiutando anche le aziende pubbliche di scopo. Si fecero discariche con soldi pubblici, vari mostri ecologici, una addirittura, unica la mondo, in salita, senza nessun senso: ora i rifiuti dei montanari sono tra i più cari d'Italia, con la beffa del dover mantenere con le tasse comunali gli impianti che hanno ospitato rifiuti da tutt'Italia. Zero accantonamenti.
Alcuni anni fa a Borgotaro era stata aperta una sede distaccata dell'Università di Parma: chiusa, dobbiamo ancora capirne il motivo, e pensare che gli studenti arrivavano da tutt'Italia. Potremmo proseguire per pagine e pagine, solo brutte notizie.
 
L'ultima pugnalata al cuore di questo sistema in grande crisi, di questo lento e inesorabile genocidio culturale, la tragedia che ha visto la morte di una volontaria, il ferimento di varie persone, per un incidente stradale avvenuto durante il trasferimento da Borgotaro a Parma, su un'ambulanza della Pubblica, di un neonato; l'ospedale di Borgotaro è stato costruito, in tempi molto meno floridi, cioè a cavallo delle due guerre mondiali, con l'impegno economico degli emigrati della Val Taro e Val Ceno, proprio perché i movimenti dei pazienti dalla montagna verso la città sono difficili e pericolosi, soprattutto in inverno.

A cosa serve una struttura dove ogni emergenza viene gestita con un trasporto a Parma? Con i rischi ribaltati sui pazienti, sui sanitari in prima linea e sui volontari, in un ambiente e in situazione spesso estreme?
Il "montanaro munto", alla fine, pensando ai suoi cari, al sorriso per sempre spento di Angela, al dramma di chi si è trovato coinvolto in uno schianto a Fraore in una fredda mattina di inverno, alla totale incapacità politica, si arrenderà; si arrenderà e scenderà a valle, insieme alla sua famiglia e al fango e ai detriti dell'ennesima bomba d'acqua.


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