Le fragole di Assan
La storia di un ragazzo ventenne che ho ascoltato, senza giudicare, solo per capire la sua scelta
Una chiacchiera e poi un’altra ancora, fino ad oggi, quando ho avuto la consapevolezza che quel ragazzo sveglio, volenteroso e sorridente, racchiudesse una storia da raccontare. Così era e così è andata. Ci siamo seduti sotto al bersò di Sandro e lì mi ha raccontato le vicende della sua vita, dal 1997 quando nacque ad oggi.
Mi limiterò a scrivere quanto ho ascoltato, senza giudicare in maniera frettolosa o superficiale la vita e le scelte di questa persona, talmente diverse e staccate dalla nostra realtà che comprenderle è impossibile. E' impossibile per la società in cui viviamo. Mi ha parlato delle motivazioni, delle tappe e di momenti che fatica a ricordare, mai di un aneddoto scherzoso o di cui sorridere, solo di guerre, soprusi, raggiri, violenze e disperazione.
Il dramma inizia nel 1998 nella Guinea-Bissau, con la guerra civile tra il Presidente eletto Bernardo Vieira e il Generale delle Forze Armate Ansumana Manneh. Negli scontri perde il padre, la madre e il fratello. Dall'età di un anno cresce con la zia, con lui la sorella Awa, che oggi vive in Gambia, e due fratelli, Malan e Alfuceni, quest'ultimo nel 2015 perde la vita nel Mediterraneo durante l'attraversata.
Anche lui, nel 2015, a diciotto anni, decide di lasciare l’Africa, la sua terra, per l’Europa, per un’altra vita. È partito insieme ad altri ragazzi del suo villaggio per entrare in Gambia, lì si fermano quasi un anno, lavorando saltuariamente, dopodiché decidono di proseguire il viaggio attraversando il Senegal, poi Mali, Burkina Faso, fino ad arrivare a Agadez in Niger, la porta del Sahara, dove si apre la rotta per il Mediterraneo. Descrivere questo sconfinato viaggio, in così poche righe, ho persino l’impressione di banalizzare la sua impresa.
“Quindi da lì hai attraversato il deserto?”, gli chiedo. “Sì, cinque giorni, a piedi, praticamente senza mangiare e con poca acqua”. Lungo la pista vede anche ciò che non vorrebbe vedere: “Il deserto non perdona, o sei forte o ti porta con lui”.
Chi riesce ad uscirne vivo non ha però vinto la battaglia, di fronte c’è la Libia, il terreno più difficile da superare. Assan e gli altri componenti del gruppo vengono poco dopo arrestati da una pattuglia di mercenari libici e portati in galera, proprio così mi dice: “in galera”. Ci resteranno tre mesi. Una cinquantina di detenuti per ogni cella, rimanendo vivi con un pranzo e una bottiglia d’acqua al giorno, dormendo per terra tra sudore, escrementi e torture. Tre mesi di terrore.
“Sono stato fortunato” mi dice, sì perché grazie all’amico dell’amico, certo Mohamed Ramadan, riescono ad uscire dal carcere senza pagare riscatti e con un nome sicuro per imbarcarsi. Grazie al prezioso suggerimento raggiungono la costa, il mare, Tripoli e poi il porto di Sabrata.
Un tragitto di migliaia di chilometri percorsi a piedi e con mezzi di fortuna, in gran parte su camion stracolmi di persone, per cui servono mesi per farlo, oltre a molto coraggio e tanta fortuna.
Arriva il giorno X. Alle tre della notte approda il barcone, ci saliranno in centoventi. Tre giorni di attraversata, poi la comparsa della nave bianca della Capitaneria di Porto di Palermo, il trasbordo, la dislocazione a Trapani, poi a Bologna, dopodiché Baganzola di Parma, quindi Bedonia.
Mi ripete nuovamente che è fortunato, che sulla sua lunga strada ha trovato molte persone che lo hanno aiutato e che l’ultima si chiama Francesco. Un’ultima domanda prima di fargli riprendere il lavoro: “Assan, ti manca la tua terra?”. Mi guarda e non sa rispondere. Una situazione che mi riporta alla canzone Bufalo Bill: “Se avessi potuto scegliere fra la vita e la morte, fra la vita e la morte, avrei scelto l'America”.
Come non commuoversi quando nascere dalla parte giusta della terra e già una fortuna e l unico sopruso (per fortuna che conosciamo) e magari qualcuno che ci salta avanti in fila dal fruttivendolo....
Siamo "esseri umani"... e se ci dimentichiamo di questo, tutto il resto non esiste più ...
Benvenuto Assan, speriamo di conoscerci.
Ho letto la sua storia, però mi domando, e i soldi per imbarcarsi? Perché se era in carcere, non credo avrà avuto soldi. E salire sul barcone non è gratuito e chiedono molti soldi. Se poi è riuscito a trovare un lavoro onesto, tanti complimenti!!
Alice, grazie per il tuo contributo.
La tua risposta è indicata in questo passo: "Sono stato fortunato mi dice, sì perché grazie allamico dellamico, certo Mohamed Ramadan, riescono ad uscire dal carcere senza pagare riscatti e con un nome sicuro per imbarcarsi".
Bene !!!!! I pezzi del mosaico cominciano a ritornare al loro posto.....
Quanta tristezza e angoscia a leggere in questo racconto tutte le atrocità che questo ragazzo ha attraversato prima di poter vedere finalmente un raggio di luce nella sua vita... altri come lui non hanno avuto la stessa fortuna.. Noi invece siamo tanto fortunati e non ce ne rendiamo conto.
Ora Assan finalmente può tirare un sospiro di sollievo, ha un lavoro in una bella struttura che Alessandro Sozzi ha trasformato dal podere che era prima in una piccola Val di Non... benvenuto fra di noi
Per un caso risolto altri centomila sono da risolvere ..non sempre oltre al mare c'è la soluzione sperata o non per tutti
Ho conosciuto Assan questa estate comprando i frutti di bosco del campo dove lavora, mi ha colpito il suo sorriso colmo di gioia profonda e gratitudine immensa ...non conoscevo la sua storia, ma avevo immaginato qualcosa del genere ... solo chi ha sofferto tanto sa sorridere così !
Abbiamo molto da imparare dai figli della madre terra africana e molto da restituire loro !
Grazie Gigi per l'articolo e per la citazione della canzone di De Gregori ... è stata un salvavita in più di una circostanza, quando avevo un amico depresso o disperato citavo il pezzo come fosse una formula magica di salvezza ... LA SPERANZA !
Molti sostengono che lintegrazione e la convivenza tra diverse culture sia possibile e che già esiste in molti contesti. Possiamo aprire un dibattito ma su un punto dobbiamo essere tutti daccordo, esigere la necessità del rispetto reciproco, senza imposizioni di altri valori, religioni e delle leggi che non siano quelli/e della terra in cui ti trovi e ti ospita. Sarebbe già un punto di partenza e di speranza per tutti
Buona vita Assan.... grazie per queste perle Gigi Cavalli
Veramente unottima e condivisibile esposizione del problema, oltre ad essere equilibrata, razionale e intelligente sul punto della situazione. Credo sia giunto il momento di dover comunicare in modo efficace la verità, raccontata senza filtri ma direttamente dalla bocca di chi affronta la realtà dei nostri giorni. Non possiamo rassegnarci a credere a quello che i giornali e le tv vogliono farci cogliere, che limmigrazione sia solo un male incurabile di cui vergognarsi e che nelle urne vado premiato chi non va oltre alla sua frivola propaganda. Questa è una boccata daria buona per tutti, bravi e cattivi.
Grazie per queste parole. Spero che servano a comprendere questo triste fenomeno dell immigrazione e soprattutto a renderci più umani
Se una persona viene in Italia x lavorare onestamente rispettando le nostre leggi e tradizioni ha il mio massimo rispetto, purtroppo penso che il comportamento del ragazzo di cui sopra non sia la regola, moltissimi vengono x compiere crimini o pretendono di imporci le loro assurde regole, cercando solo di essere mantenuti
Grazie Gigi per questo bellissimo pezzo di raro giornalismo di riflessione.
Fosse sempre questo l'approccio, forse il problema dei migranti lo si valuterebbe sotto una diversa luce. Intendiamoci: così come è gestita oggi l'immigrazione non va assolutamente bene.
Ad Assan è stata offerta una opportunità, lui l'ha colta e ha corrisposto ampiamente alla fiducia solidale che ha ricevuto.
Purtroppo non è sempre così.
Penso che gente in giro a bighellonare sia una sconfitta per tutti. Per loro umiliati perchè non possono espletare appieno la loro personalità umana. Per noi autoctoni, perchè l'accoglienza si trasforma in mantenimento, con denaro pubblico decisamente speso male.
Quella di Assan è una storia tragica a lieto fine, come migliaia di tante altre. Riflettiamo. Sono sicuro che esista una giusta via di mezzo tra spirito di accoglienza e pessima gestione dei migranti.
Ce ne sono tante di persone per bene che cercano solo una condizione migliore, direi la quasi totalità.
A volte anche io ascolto queste storie da alcuni ambulanti. Ognuno di loro ti racconta uno spaccato di vita incredibile.
E' per gente così che bisogna lottare non per altre storture mediatiche che qualcuno vuole propinare.
Detto questo la cosa più triste è il completo o quasi completo abbandono del continente Africano e di quei territori dove ci sarebbe bisogno di interventi importanti.
Tanta propaganda e pochi fatti. E' lì che vanno aiutati e non c'è un'altra strada. Ogni anno il continente africano si arricchisce di circa 80 milioni di persone... difficile immaginarsi che in 10 anni l'Europa possa ospitare 800 milioni di persone...
Benvenuto Assan
Il vero successo sarebbe riuscire a non sradicarli dalla loro terra. La storia di Assan è una storia drammatica, ma di grande rivincita e coraggio. Trasformare la disperazione in opportunità è una grande vittoria che rimarca forza, determinazione e stabilisce esempi per tutti. Una bella opportunità per noi anche quella di conoscere persone come Assan. Mi chiedo però se gli manchi la sua terra e gli auguro che qui si sia riusciti a farlo sentire un po a casa
Guardo Assan e ripenso a Mustafa', un bambino di 13 anni che una mattina di tanti anni fa mi ritrovai in cucina a fare colazione insieme a me: io bambina poco più piccola, mi ero appena svegliata (erano le vacanze estive) lui già con le piccole spalle cariche del suo borsone pieno di cose che nessuno vuole, perché di quelle cose nessuno di noi ha bisogno, e con la pancia vuota... mia mamma al posto di comprare gli ha offerto la colazione. Rimango stupita e un po' imbarazzata ma il suo è un sorriso dolce e contagioso.
Mentre facciamo colazione racconta della sua famiglia e dei suoi 11 fratelli, rimasti in Africa con la mamma mentre lui, il più "grande" è venuto in Italia con il papà, ma li hanno separati. E tira fuori un foglietto bianco stropicciato con tutti i nomi della sua famiglia. Faccio fatica a mandar giù il boccone perché un nodo mi stringe la gola. Finita la colazione mia mamma gli prepara un panino per il pranzo: "senza prosciutto SIGNORA PER FAVORE sono musulmano". Per un po' di mattine Mustafa' ed io facciamo colazione insieme, poi un giorno annuncia che forse non ci vedremo più perché tornerà in Africa a CASA, insieme al suo papà. Non l'ho più visto. Spero abbia ritrovato il suo papa' e abbia realizzato il suo sogno di tornare a casa dalla sua mamma e dai suoi fratelli e che lì la vita gli abbia sorriso. Tanti anni fa non sapevo cosa stesse dietro alle storie di questi ragazzi. Ora lo so. E sto facendo facendo colazione... e mi è tornato il groppo in gola.
So che è un argomento divisivo, quello delle migrazioni.
Oltre che divisivo è infarcito di luoghi comuni. Uno dei piu' gettonati è : "aiutiamoli a casa loro". Ma com'è messa la loro casa? Senza scomodare gli effetti del colonialismo prima e dell'imperialismo poi, anche i cambiamenti climatici pesano molto sulle migrazioni che, non dimentichiamolo, prima che un fatto internazionale sono un fatto interno.
In Africa si uccide per controllare la riva di un fiume, per avere accesso a un pozzo, in paesi, come quelli del Corno d'Africa, dove non piove da anni.
Se veramente vogliamo "aiutarli a casa loro", lo possiamo fare adottando comportamenti corretti nei loro confronti:
1) evitare di rapinare le loro risorse
2) evitare la concorrenza sleale, tipo le sovvenzioni USA ai propri agricoltori, perchè questo altera la concorrenza.
3) ridurre drasticamente l'inquinamento che, per effetti della circolazione delle masse d'aria, si traduce in uragani nel Centro-Nor America e siccità in Africa.
Dunque non danneggiare l'Africa è già un ottimo modo per aiutarla.
Il secondo luogo comune è: "non possiamo ospitarli tutti". Se guardiamo i numeri degli ultimi trent'anni, mi riferisco ai numeri ufficiali dell'ISTAT, di EUROSTAT e di organismi ONU, vediamo come invasioni non ce ne sono state in passato e non sono in previsione per il futuro.
Il terzo luogo comune è: "ci rubano il lavoro". Anche questo è falso, perchè ci sono interi settori dell'economia italiana, a cominciare da quello del legno che cercano manodopera, ma non la trovano. E non è vero che tutti vogliono gente da prendere in nero e a bassi salari.
Il quarto luogo comune è che: "con loro la delinquenza è aumentata". Anche questo cozza con la realtà dei numeri. Aumenta la microcriminalità, ma calano drasticamente i delitti contro la persona e il patrimonio. Basta scaricare dalla rete l'Annuario dell'ISTAT per vedere come stanno le cose.
Il fatto è che ogni epoca ha i suoi untori da suppliziare e i suoi mestatori di discordie.
Naturalmente tutto ciò a cui ho accennato è grezzo ed approssimativo. Non bastano poche righe per parlare di un fenomeno così complesso.
Quello che ci vorrebbe è piu' informazione e, soprattutto, il desiderio di verificare di persona come stanno le cose.
La madre di tutte le analisi superficiali... Sono allucinato.
Claudio Agazzi
Grazie al signor daniele che ha cercato di riportarci coi piedi per terra
P.s.
speriamo che il ghiacciaio che si sta sciogliendo travolga courmayeur, così almeno avremo i primi rifugiati climatici autoctoni :D
(ma non c'è da ridere)
Claudio, la superficialità è di chi vive di luoghi comuni.
Vuoi capire quali siano gli effetti dei cambiamenti climatici, a partire da quelli sulle aree tropicali? Prego, accomodati: c'è in rete tanta di quella letteratura (e non parlo di scemenze di eco-talebani, ma di organi ufficiali) da seppellirti.
E'luogo comune asserire che "aiutiamoli a casa loro" E' una sonora cazzata ( scusa il francesismo)? Beh, anche qui basta vedere quali sia il saldo del dare-avere. Cioè di quello che, anche nei recenti decenni è stato tolto (da imprese e governi) al continente africano e quello che è stato dato.
Sei mai stato in Africa? Io si, piu' volte. In Ghana, Benin, Togo, Nigeria, Kenya e, ovunque sia andato, incontrando intellettuali locali, mi hanno sempre detto: "Aiutare l'Africa? State a casa vostra e smettetela di pensare che non possiamo fare a meno dei vostri aiuti". L'Africa, quella di Lumumba e dei tanti politici che si sono formati nelle università dell'occidente e che, per lo piu', sono morti ammazzati, hanno sempre rivendicato indipendenza e sovranità, non sacchi di grano.
Loro sono diventati il tubo di scappamento della nostra economia. Noi libiamo nei lieti calici e ci ingrassiamo con la nostra opulenza e loro sotto, a respirare i gas di scarico delle nostre fetenzie.
Se non siamo d'accordo su questo è inutile che continuiamo.
I movimenti migratori non nascono perchè giovanotti nerboruti e nullafacenti vogliono gozzovigliare, ma come contraddizione di uno sviluppo distorto che, per funzionare,ha bisogno di produrre sia opulenza che povertà.
Queste cose, trite e ritrite, non le dice (solo) Daniele, le dice anche la Chiesa (Populorum Progressio di Paolo VI, per esempio o le encicliche di Giovanni XXIII). Per tacere della poderosa letteratura dell'ONU. Le ha dette persino Obama
A tutto questo si affiancano le pagine della nostra emigrazione. Evidentemente la storia non ha insegnato niente. Non c'è capacità di analisi, non si riesce a capire perchè 27 milioni di italiani siano andati all'estero per lavorare. Se si capisse perchè questo è avvenuto ieri per noi, forse si capirebbe perchè oggi avviene per altri.
Ma anche queste sono banalità.
Il fatto è che il clima d'odio che si costruisce attorno agli immigrati serve ad alimentare la cultura del nemico. Ci vuole sempre qualcuno a cui dare la colpa, se questo modello economico in crisi non trova risposte di rilancio. Cosa c'è di meglio di dare in pasto alla folla qualcosa da mordere, qualcuno a cui dare la colpa? Anche di questi espedienti è piena la storia: basta vedere gli eventi tragici del Novecento.
Ce la si piglia col nero, allo stesso modo col quale ce la si piglia con Greta. Ecco pronto il veleno del sospetto: "si, ma lei per chi parla, chi c'è dietro, chi le passa le veline?". Per non cambiare, per non capire che cambiamenti climatici, disastri ambientali e masse migratorie in movimento sono un tutt'uno, si preferisce mettere in moto la macchina del fango. Anche dire che sono banalità è parte della macchina del fango.
Sappiamo tutti che dobbiamo uscire dall'era del petrolio, che la biomagnificazione delle plastiche sta uccidendo la fauna ittica, che ci nutriamo di microplastica, ma noi continuiamo imperterriti e liquidiamo l'improcrastinabile cambiamento come banalità. Lo fa Trump, lo fanno i sovranisti ( Salvini: " i ragazzi che vanno in piazza sono la piu' grande bigiata collettiva da scuola").
Sminuire, delegittimare, negare, l'importante è non cambiare.
Il grande capolavoro è il "non possiamo accoglierli tutti". Come se il primo desiderio degli africani sia quello di trasferirsi in massa davanti alla stazione di Parma!
Certo che la gestione dell'immigrazione crea grossi problemi. Li si vuole risolvere? Bene: si deve cambiare paradigma economico.Cambiare significa mettere in discussione quelli che siamo, quello che facciamo, il nostro rapporto con la produzione e il consumo di cibo e di risorse.
Tutte banalità, ovviamente.
Comunque, Claudio, per me finisce qui. E' abbondantemente chiaro che la vediamo diversamente.
Ti voglio bene. (Una chiusura alla "Capitano" non poteva mancare)
Daniele, grazie
Grazie Gigi.
Per aver dato voce alla storia di Assan.
Purtroppo molti non credono o non vogliono credere ai motivi per cui molte persone abbandonano il loro paese,e non si rendono conto di quanto siano fortunati ad essere nati in posti "sicuri" del mondo.
In bocca al lupo per tutto Assan!!