Gli inverni di una volta

Un racconto di come si viveva durante i mesi freddi e si gestiva questo lungo periodo
Erano otto anni che non nevicava oltre le "due dita", praticamente dall’ondata di freddo portata dal Buran siberiano del 2012. In questi giorni l'inverno è tornato alla sua funzione originatia: fa freddo, ci sono i "candelotti" trasparenti ai tetti e sta anche nevicando. Nulla a che vedere però con quelle degli anni '80 e ’90: quelle sì che erano nevicate degne di nota!

Ricordando invece altri inverni, più lontani e certamente più rigidi di quelli che la gran parte di noi conoscono, il riferimento va al 1929 e al 1956. Nella memoria recente, invece, risalta ancora la nevicata del 2009 (un metro di neve) e del 13 gennaio 1985, quest'ultima sì che era stata tosta: in paese la neve aveva raggiunto i 150 centimetri, la temperatura era calata fino a -23 gradi, le tubature dell'acqua nelle case gelavano, alcuni i tetti crollavano e siamo rimasti senza elettricità per diversi giorni, per fortuna che dai camini usciva ugualmente il fumo grigio.

Volendo fare un passo indietro, è inevitabile ricorrere ai consueti racconti di Maria Pina Agazzi. Andiamo agli anni '40, periodo in cui era bambina e gli inverni erano vissuti ben diversamente da quelli dei giorni nostri: "Allora nevicava veramente molto e alcuni Santi erano chiamati 'Mercanti da nèive', poiché nel giorno a loro dedicato cadeva spesso la neve: santa Bibbiana, santa Lucia, sant'Antonio Abate, san Biagio e sant'Apollonia".

Bedonia, per gran parte dell'inverno, era quasi sempre imbiancata: con i canderòtti che penzolavano dai tetti e la neve "battuta" nelle vie. Non c’era l’esigenza di liberare le strade con urgenza, poiché quasi tutti andavano a piedi o a cavallo. Per il trasporto merci c’erano invece dei grossi carri, trainati da grandi e robusti cavalli da tiro, con zampe e zoccoli enormi, ed erano quelli di Quinto Chiappari "Caciàn" e Giovanni Squeri "Tugnassu". Le autovetture erano pochissime, una decina, tra cui i quattro taxi condotti da Granelli Emilia-Federici Albino, Alfredo Lazzarelli, Albino Mallero e Giacomino Pizzi, oltre alle corriere di Lino Carpani.

Il traffico sulle vie principali, pur essendo scarso, doveva comunque essere agevole, e così le strade comunali venivano liberate dagli spartineve (tutti in legno, ad eccezione della lama che era in ferro) che erano trainati da due robusti buoi: "Il servizio veniva affidato ai contadini del circondario. Uno di quegli aggeggi lo ricordo, era quello condotto da 'Pansétta', Antonio Zecca".
Al seguito c'erano gli spalatori che, con badili, carriole e carretti, allargavano ed aggiustavano la "rotta", oltre a liberare gli ingressi delle case private. Con gran fatica, a fine giornata, riuscivano a tracciare un passaggio, una sorta di sentiero. La neve raccolta veniva poi gettata nel torrente Pelpirana, che allora scorreva liberamente al centro del paese.  

Quando al mattino presto, verso le sei e mezzo, le donne uscivano per la messa "delle sette", erano munite di sedéllu e gavadu (secchio e paletta di ferro) e cospargevano i punti più gelati delle strade con la cenere delle stufe, un metodo per far sciogliere più in fretta il ghiaccio accumulato.

In compenso il paese era molto animato, in special modo da bambini e bambine, tutti felici di poter fare le sghïaröre e organizzare grandi battaglie con le palle di neve: "Formavamo anche delle squadre, suddivise per contrade… purtroppo vinceva sempre quella di via Vittorio Veneto".

Il picchéttu alle mani e ai piedi, come si può immaginare, era una costante. Le protezioni dal freddo erano in pratica inesistenti: i guanti erano di lana e le scarpe di curàmme; queste, in inverno, venivano unte con il grasso di maiale (asónza) e alle suole c’erano i chiodi (e brucchétte) per renderle meno scivolose.    
I giovanotti invece si divertivano con le slitte di legno (e lése) o con la toboga da loro costruita, una sorta di lunga slitta fatta di assicelle legate fra loro e ricoperte di pelli animali. Il prato più ambito per queste discese spericolate era quello dove ora sorge il palazzo "Tognetto".

"Come avrai capito, gli inverni erano rigidi e il freddo che si pativa era tanto, ma nonostante i disagi nessuno faceva troppe storie e si cercava di trascorrere al meglio la giornata, e…  sensa tante bale, miga cumme incö!".

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FOTO: gli inverni dal 1910 al 2009



10 Commenti
  1. Mirko Filiberti

    Che bello !! Un tuffo nel passato, quando la vita era molto più "vera" rispetto ai nostri tempi.

  2. Remo Ponzini

    Considerando la mia vetusta età posso affermare che quello riportato dalla Maria Pina corrisponde perfettamente alla realtà di quei tempi. Gli inverni duravano almeno 6 mesi e la neve era sempre presente con quantità considerevoli. Gli operai, sotto la guida di Ugo Medioli, non facevano in tempo a spalare quella caduta perché le nevicate si susseguivano incessantemente.

    Mi sovvengono tanti ricordi del Seminario in cui il freddo imperava in modo inaudito. Nei primi anni ci sistemavano nei dormitori dove sostavano almeno 20/30 alunni dove il calore umano faceva qualche piccola breccia. Ma il bello veniva quando, più grandicelli, ci mettevano in una cameretta singola. Ci richiudevano a chiave alle 21,30 e ci svegliavano alle 5,30 del mattino. 

    In dotazione avevamo solo un catino che dovevamo riempire d'acqua per lavarci mani e faccia al mattino. Ma nella notte tutto gelava e bisognava togliere la strato di ghiaccio che si era formato. Provai persino con degli avanzi di candele per vedere di scaldarla un pochino ma non avevano la forza sufficiente. La quasi totalità dei seminaristi soffriva di geloni alle mani ed ai piedi.
      
    Ci sono gli ambientalisti che parlano di surriscaldamento della terra da decenni. Pensando a quei tempi penso che avessero ed abbiano ragione. Scusate se ho sconfinato in argomentazioni personali ma quei ricordi mi assillano ancora adesso.

  3. Dolores

    Quanto tempo è passato... quando abitavo ancora a Scopolo e vivevo la mia infanzia felice e spensierata. L'inverno era la stagione più bella per noi bambini di allora! Era il tempo di giocare sulla neve... la raccolta del muschio per la preparazione del presepio sotto il ginepro che portava a casa dai monti il nostro papà, l'assemblaggio della neve a pupazzo, le lunghe gallerie scavate nella neve...

    Tra "un'arutta e l'atra", la preparazione in una tazza di neve col cacao... Non temevamo "u picchetti ai pe" e scivolavamo coi nostri slittini nei prati sotto casa. Negli anni 50 la neve arrivava anche a 2 metri e i nostri papà alla sera lasciavano in casa, vicino la porta, il badile perché molto spesso, al mattino, trovavano una barriera bianca da abbattere.

    Poi era tutta "un'arutta" per andare nella stalla, nel pollaio, nella cascina, nel servizio, nel paese. Gli uomini si trovavano davanti l'osteria di Pambianchi per aprire la strada verso i Galli, I Franchi e Lavure'... Poi andavano incontro agli uomini dei Pilati che avevano aperto la strada ai Violoni, Firen, Casello, Manoli e Zucconi.

    Per andare ad aprire la strada per Masanti, qualche volta, dovendo usare i cavalli tanto era alta la neve. Ogni tanto, in qualche casa, si carburavano per scaldarsi eppoi ripartivano cantando per sentire meno la stanchezza...
    Erano tempi duri. Ma la gente era contenta e noi bambini abbiamo passato gli anni più bella della nostra vita...

  4. Enrico

    Grazie ancora a Maria Pina che ci riporta in un tempo difficile ma in fondo felice. Era proprio così. Ricordo che un anno i mucchi di neve accumulati dagli spartineve a lato delle strade erano così alti e la neve così compatta che noi bambini potevamo scavare delle piccole gallerie all'interno dei mucchi stessi.

    Poi, certe nevicate erano così intense che c'era il pericolo che il tetto della casa o della cascina potesse cedere sotto il peso della neve. Ricordo che il nonno Moretto mandava qualcuno esperto a liberare il tetto dalla neve, almeno in parte. Era una operazione tutt'altro che facile.

    Concludo questo mio commento con un episodio personale. Eravamo negli anni 40, forse il 44 o il 45. Era uno degli inverni più freddi. Allora abitavamo in un appartamento di via Roma. Io dormivo in una sala molto grande ma anche molto fredda (la cucina era la sola stanza riscaldata), e alla sera andavo a letto con una bottiglia di acqua calda per scaldarmi i piedi. Quando la bottiglia non mandava più calore, la facevo rotolare con una spinta in fondo al letto. Bene, una mattina quando fecero il letto, trovarono la bottiglia piena di ghiaccio.

  5. Peppino Serpagli

    Si sciava con le slitte e le taboghe (fatte dai fratelli Rossi: Roger, Titì e Walter) anche nel grande prato (du Neigru) che c'era allora sopra ai vecchi giardini pubblici e sotto la "casa bruciata".
    Quando iniziava a nevicare, qualcuno diceva "A veh" o "Verda cumme a veh". Spesso mancava la luce anche per qualche giorno, ma non era un grande problema come sarebbe oggi, perché allora quasi non c'erano elettrodomestici. Per far luce nelle case si usavano non solo le candele, ma anche le lanterne portatili ad acetilene. La neve mi ricorda anche la meravigliosa polenta di farina di castagne che si mangiava in scodella col latte o la ricotta. Tanti geloni ovviamente, malgrado i calzettoni di lana fatti a mano! Auguri di buone feste

    Peppino Serpagli

  6. Dolores

    Siiiiiiii.... Che buonaaaaa. Noi di Scopolo... la chiamiamo puta e la mangiavamo col latte fresco... Versato sul piatto fondo dopo che la crema... aveva fatto la pellicola... Si lasciava poi l'ultimo boccone x lasciarlo scivolare morbidamente nella gola... reclinando il capo verso la nuca. Che apoteosi di sapore!!!
    Ma si mangiavano anche le castagne sbucciate (sburghe) e spellate ancora bollenti... Per poi mangiarle sempre col latte fresco... E che dire delle bollite (balletti) che si schiacciavano tra i denti facendo scoppiare in bocca la deliziosa polpa....
    Erano la compagnia. Duranti i 'firosi'... dopo il rosario... o come scalda mani quando si andava per i monti o 'dietro le mucche'.... La castagna era il pane dei montanari e la si consumava tutto l'anno anche in forma di farina con cui si preparava la pasta da condire con la salsa di noci (pegai)... Pane, Pattona, Castagnaccio e frittelle...specie di pisarei... E chi più ne ha... Più ne mette. Io ne sono ghiotta... mangio anche i 'gru'meri' di farina cruda... e anche se poi lo stomaco piange... io rido di gioia... ricordandomi la mia infanzia che se pur lontana... è indimenticabile.

  7. Adriano

    Avete dimenticato la grande nevicata del ultimo inverno della seconda guerra mondiale. Io ed circa 20 altri uomini di Pilati ed forestieri ci nascondevamo per non essere presi dai tedeschi che venivano verso Scopolo da Masanti. Eravamo nascosti sotto la cantina della casa del Sartu’. La neve era alta circa un metro, perciò i tedeschi non vedevano evidenza di noi. Grazie alla nevicato eravamo salvati! Buon Natale a tutti e grazie per i ricordi che scrivete su questo blog. Adriano in Canada, lontano in distanza me vicino col cuore!

  8. Anna

    Neve=Natale... una volta era così! E vedo il post di Gigi mentre stavo giusto leggendo un libro sul tema dgli inverni e dei Natali del passato del "Borgo", anzi in realtà da quando è uscito in libreria lo leggo tutti gli anni per le feste: "S' v'duma p'r l' fest' ovvero ar Natal' Burg'zan", scritto dal maestro Giacomo Bernardi e con le illustrazioni del grande Mario Previ.

    Un magico tuffo nel passato, un passato più povero del nostro attuale ma immensamente più ricco di sentimenti, profumi e tradizioni. I ricordi del maestro Giacomo raccontano infatti anche di neve, di come si gestiva lo sgombero (i "giobi"), di giochi di ragazzi e bambini sul ghiaccio tra contrade (la "şgüjaröla"), di "pich'tti, şloun e s'reiş" e dei "m'rcanti d'la nèiv" o "i barboun d'la nèiv". Ma è il racconto di un passato non solo di Borgotaro, quello che rivive tra le righe del libro e nelle immagini di Mario è un passato comune a molti paesi: mia mamma ad esempio è di Bardi eppure durante la lettura del libro le sembra di rivivere il suo Natale bardigiano e le grandi nevicate che letteralmente sommergevano la sua piccola casupola sul castello.

    Ma con gran sorpresa ho ritrovato il gioco della "şgüjaröla" (scivolare su piste ghiacciate create dai ragazzi lungo le strade) persino nella fumosa Londra di Charles Dickens nel suo "A Christmas Carol", altro libro che non manco mai di leggere in vista del Natale. E ascoltare i racconti dei nostri genitori, dei nonni per chi ha la fortuna di averli ancora, o di Maria Pina o leggere quelli di Giacomo, o guardare i fantastici quadri di Mario, è per noi Scrooge del presente un po' come farsi prendere per mano dal fantasma del Natale passato! Buon viaggio a tutti!

  9. Dolores

    Adriano... Sono contenta del tuo intervento che mi permette di salutarti. Sono la figlia du Peren di Parioti e da Maria du Lunu e Ida de Scoperu.... ti ricordo con affetto anche attraverso i racconti che mi facevano i miei genitori... Più o meno tuoi coetanei (papà era del 17)... due anni fa volevo consegnare a tuo figlio il mio libro su Scopolo e la sua gente perché te lo portasse ma non è stato possibile. Quando potrà tornare... diglielo che si fermi da me... nella casa dei nonni vicino la chiesa... perché ora è diventata mia. I ricordi sono preziosi e resteranno vivi al nostro futuro. Ti abbraccio augurandoti ogni bene

  10. Dolores

    Nei miei ricordi scritti e parte raccontatomi dai paesani... riferendomi al tuo aneddoto Adriano.. so che tu e altri 20 e qualche volta anche 28... vi nascondevate nel rifugio costruito nel pianerottolo della scala interna di Sartu'. Per passare il tempo ve la raccontavate giocando a carte... attenti però al segnale di pericolo che vi avrebbe dato col suo bastone... il vecchio Sartu'appostato sul pianerottolo sopra la scala esterna la sua casa: 3 colpi se i tedeschi erano ai Posi (400 m)... 2 se erano da Giuseppen (50 m)... 1 colpo se erano davanti 'quella' casa.... Tanto tempo è passato e siamo qui a raccontare ai nostri posteri che li serberanno come prezioso tesoro: le nostre radici

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