Alle 4 fucilateli

Un orologio che segna ancora l'ora di un tragico episodio avvenuto il 20 luglio del 1944 a Sidolo di Bardi
Ho avuto occasione di prendere in mano un orologio da tasca, o meglio quel che ne restava. Non c'era più il vetro e mancavano le lancette, e a custodire i pochi ingranaggi superstiti restava solo la cassa esterna. L'ho girato e rigirato, quasi a soppesarne il tempo che ancora, inspiegabilmente, racchiudeva. Quella pregiata e inseparabile "cipolla", di proprietà di Girolamo Brugnoli, ha smesso di funzionare, definitivamente, il 20 luglio 1944, alle ore 16.
Il motivo è bene evidente, basta osservare il foro causato dal proiettile che oltrepassò l'orologio per centrare l'obiettivo, quello posto dietro al taschino della giacca che gelosamente lo custodiva: il cuore.

Si tratta di un episodio accaduto al loro nonno Girolamo settantasette anni fa, nella frazione di Sidolo, nel Comune di Bardi. A mostrami il cimelio e a raccontarmi la vicenda sono due dei suoi cinque nipoti: Marilisa Boffetti e Marco Gerlotto.

Siamo alla fine di giugno del '44 e la Valtaro e la Valceno, fino a quel momento coinvolte marginalmente nel conflitto, si ritrovarono nel mezzo della guerra. Le due valli, in quello stesso periodo, per mezzo di folti drappelli partigiani, erano riuscite a liberarsi dall'occupazione tedesca, proclamandosi "Territorio libero del Taro", una zona che estendeva dal Manubiola di Berceto fino ai confini liguri e piacentini.
L'esercito tedesco però non si diede per vinto e cercò di porre fine a questa situazione, ritenuta "d'intralcio", con ogni mezzo, pur di riconquistare tutta la zona: una zona strategica per la sua posizione geografica, con la ferrovia "Pontremolese" e le diverse strade di valico che collegano la Pianura Padana con l'area tirrenica e la Liguria.
La reazione del Comando tedesco fu quella di inviare sul territorio centinaia di mezzi corazzati e migliaia di uomini scelti per "liberare", a loro volta, il territorio presidiato dalle diverse formazioni partigiane. La terribile operazione "Wallestein II", così denominata e comandata dal generale Walter von Hippel, fu condotta attraverso azioni dettate dall'odio e dal rancore, presumibilmente per il loro parziale insuccesso dal punto di vista militare, tant'è che nel solo mese di luglio perderanno la vita ben centoventi nostri civili per mano del fuoco germanico.
Questa serie di episodi sono stati descritti, con dovizia di particolari e testimonianze dirette sui protagonisti, nel bellissimo libro di Giacomo Bernardi "1944: quel luglio di sangue".

La nostra storia si occuperà di sei di loro: Francesco Bozzia, Bruno Benci, Giuseppe Ruggeri e i fratelli Giovanni e Girolamo Brugnoli, oltre ad Antonio Brugnoli (padre del giornalista Franco), l'unico sopravvissuto del gruppo. Marco Gerlotto mi racconta che questa manciata di Borgotaresi decise di lasciare il paese poiché c'era in atto un rastrellamento tedesco. Il pattugliamento era mirato a dare la caccia ai gruppi partigiani e nel contempo reclutare manodopera per l’industria bellica tedesca. La comitiva decise così di dirigersi in direzione Porcigatone e lì cercare riparo nei boschi circostanti il Passo Santa Donna. Questi uomini erano però inconsapevoli di ciò che era accaduto a Strela solo il giorno prima: il paese messo a ferro e fuoco, le case saccheggiate e poi incendiate, e diciassette civili*, tra cui anche i due sacerdoti don Alessandro Sozzi e padre Umberto Bracchi, fucilati da una pattuglia di SS.

I sei Borgotaresi non si sentirono comunque al sicuro, in quanto anche quei boschi e camminamenti erano presidiati dai Tedeschi. Si diressero così verso il Passo Colla. Durante il percorso, a Case Ghirardi, nei pressi del ponte sul Remolà, incontrarono un loro compaesano, il partigiano "Pantera" (Andrea Leonardi), il quale consigliò loro di fermarsi lì perché ritenuto un posto sicuro; tuttavia essi decisero di proseguire il cammino fino a Dugara, per poi giungere in serata, stanchi e affamati, nel piccolo paese di Sidolo. Qui trovarono riparo in un fienile, poiché gli abitanti temevano rappresaglie tedesche nel caso li avessero ospitati e magari scambiati per partigiani. Così, alle prime ore del mattino, uscirono dall'improvvisato giaciglio. Dirigendosi verso il paese per trovare un pezzo di pane e qualcosa da bere, una pattuglia tedesca li notò e gli impose l'alt... non fuggirono e provarono a presentarsi, sventolando nel contempo un fazzoletto bianco, tentarono di spiegare loro che non erano partigiani ma semplici civili in cammino. Furono comunque trattenuti e rinchiusi in un campetto recintato, in attesa di ordini superiori provenienti dal Comando di Bardi. Alle quattro del pomeriggio furono tutti accompagnati presso il muro di cinta del locale cimitero, l'ordine era arrivato: "fucilateli".

Francesco Bozzia, Bruno Benci, Giuseppe Ruggeri e i fratelli Giovanni e Girolamo Brugnoli, compreso il suo inseparabile orologio, furono trafitti da una raffica di mitragliatrice, mentre il loro compagno più giovane, il venticinquenne Antonio Brugnoli, un attimo prima della fucilazione, colto da un impeto estremo - "morto per morto, io ci provo..." - tentò l'impossibile, ossia di fuggire dal plotone di esecuzione gettandosi a gambe levate giù da un dirupo al lato del cimitero, riuscendo però a salvarsi nonostante fosse rincorso dal fischio delle pallottole.
Un'ora prima, in quello stesso punto, erano stati fucilati anche il locale arciprete don Giuseppe Beotti, il suo ospite don Francesco Delnevo (parroco di Porcigatone) e il giovane seminarista bardigiano Italo Subacchi.

Gli eccidi avvenuti a Strela e a Sidolo, tra il 19 e il 20 luglio 1944, sono state due delle stragi più efferate ai danni di civili delle nostre valli compiute dall'esercito tedesco.

* Nella strage di Strela, oltre ai due religiosi sopra menzionati, persero la vita: i tre partigiani Luigi Adetti, Mauro Mezzetta e Giovanni Tamiri della 32ª brigata Garibaldi “Monte Penna”; i civili Pietro Bracchi, Giuseppe Dallafiora, Luigi Vincastri, i fratelli Paolo e Luigi Franchi, Antonio Gazzoli, Sergio Capitelli, Giuseppe Feci, Rodolfo Dallara, Luigi Gonzaga, Pio Camisa e il sedicenne Enrico Delgrosso.
LINK al libro di Giacomo Bernardi


16 Commenti
  1. Donatella

    Mio nonno fu preso nel suo paese e messo al muro ma riuscì a scamparla, ora non ricordo più se fingendosi morto o fuggendo. Mia nonna per giorni lo credette morto ma invece era scappato e ritornato a casa dopo giorni! Era Cereseto!

  2. Corio Franca

    Stupendo raccontare queste vicende così drammatiche...... la nostra storia...... quante volte la mia mamma centenaria me le ha raccontate ........ un abbraccio...... ricordiamoci che la guerra è proprio terribile

  3. Marco

    Grazie Gigi, come sempre i tuoi scritti suscitano grandi emozioni. Per non dimenticare la nostra storia….

  4. PQuadro

    Di atrocità ne han fatte molte da una parte e dall'altra. Finita la guerra i vigliacchi si sono rimescolati in mezzo agli altri, ognuno vivendo la propria vita ma la terra è ancora intrisa di sangue innocente.

  5. Francesca

    La malvagità umana è senza un fondo di umanità, tutti lo sanno ma le guerre si fanno fin da quando c'è l'uomo

  6. Cristina D

    Mamma mia, bravo Gigi abbiamo bisogno di ricordare... nell' epoca dove si da importanza al nulla... leggere quello che hanno subito in un epoca non lontanissima, ci aiuta a riflettere.

  7. Maria Luisa Spagnoli

    Grazie sono racconti bellissimi di coraggio un pezzetto di storia perché non dobbiamo dimenticare

  8. Ilario

    Grazie per il blog che si distingue e che offre riflessioni sempre molto interessanti.
    Sono legato sia a Sidolo che a Strela e la testimonianza di quanto accaduto suscita in me sempre commozione. È importante per mantenere viva la Memoria storica, in modo da essere monito per un avvenire dove al primo porto ci sia il senso di Pace e di Unità tra i popoli.
    Un pensiero di gratitudine a tutti i Caduti; la loro Vita e la testimonianza del Martirio ci siano da guida e da esempio per la nostra esistenza.

  9. ValeBD

    Conosco bene purtroppo la storia "parallela", quella di Strela, essendo tra i discedenti di Enrico Delgrosso...

  10. Claudio M.

    Toccante rievocazione di quel luglio terrificante.
    Mia zia Renata Barbieri tante volte mi ha rievocato l'eccidio di Strela dove era sfollata proprio nel quarantaquattro quando aveva solo cinque anni. Ricordi confusi, i suoi, di incendi, di caos, di urla, di pianti; incomprensibili per una bimbetta che cercava, con i suoi solo un poco di sicurezza, ma che piu' tardi realizzo' che lo zio Alessandro era stato ucciso in quel caos.
    Grazie perche' tieni viva la memoria, per evitare che le tragedie si ripetano.
    Claudio M.

  11. Valeria Danzi

    Conosco bene, purtroppo, la storia "parallela", quella di Strela, essendo tra i "discendenti" di Enrico Delgrosso. Questo racconto ha rievocato in me le storie raccontate da mia nonna, anche se non le ricordo più tanto bene, purtroppo.
    Enrico Delgrosso a 16 anni già lavorava, portava le mucche al pascolo, figlio unico e orfano di padre che si chiamava Giovanni, fratello della mia nonna materna. I miei nonni materni soffrirono doppiamente la morte di Enrico, brutalmente assassinato in giovane età, infatti sua mamma era la sorella di mio nonno. È rimasta sempre molto legata alla mamma di Enrico che si risposò ed ebbe altri due figli nel Levante Ligure. Ogni tanto, ancora oggi, io e mia mamma andiamo a fare una vista alla tomba del povero Enrico.

  12. Mau

    Gentile PQuadro, a leggere il resoconto di Gigi, cosa "quadra" la frase "... di atrocità ne han fatte molte da una parte e dall'altra..."? si devono quindi giustificare i nazifascisti per gli eccidi raccontati? Abbia almeno il rispetto e il buon senso di rimanere in silenzio ed ascoltare queste tristi parole.

  13. PQuadro

    Mau non è polemica ma oggetività. Il nazifascimo ha le sue colpe ma la lista dei civili e militari (sempre persone sono) assassinati dai partigiani è lunga, purtroppo non o poco documentata a dovere.

  14. Remo Ponzini

    L'unico ricordo personale che ho riguarda il bombardamento su Strela. Ero piccolo e manco sapevo che cosa fosse una guerra. Avevo tre anni e 7/8 mesi circa e non avevo mai visto un aereo.

    Fui attratto da un rumore particolare ed il mio sguardo si rivolse verso il cielo. Vidi diversi aerei (non ricordo quanti fossero esattamente) che giravano in tondo in lontananza alternando il rumore dei motori a dei tonfi cupi che erano le bombe che venivano sganciate.

    I genitori non ci tenevano informati di ciò che accadeva ma verso sera colsi di soppiatto una conversazione in cui mio padre, accigliato ed allarmato, spiegava l'accaduto a mia madre.
    Quelle immagini che vidi li ho ancora impresse nella mente come fossero appena accadute.

  15. Peppino Serpagli

    Chissà come arrivavano a Bedonia (Pieve) le notizie di tragici eventi come quelli di Sidolo e Strela. E ci aggiungerei quello della Manubiola, in cui perse la vita anche mio zio Vittorio Gavaini (era un ostaggio e non un belligerante). Quante delucidazioni potrebbero darci persone come i tuoi zii Mina e Bruno che erano già grandicelli all'epoca dei fatti di quegli anni terribili.
    Purtroppo il mio primo ricord visivo é quello di due bare nel corridoio del piano terra di casa mia. Erano quelle di Vittorio e di sua suocera Gaetana Raffi in Ratto. Il mio primo ricordo audio é invce il vago rumore di un piccolo aereo che d'ogni tanto sorvolava pacificamente Bedonia. Pare che a guidarlo ci fosse "U fiu da Leonilla". La Leonilla (forse sorella della suddetta Gaetana) era una levatrice chi abitava nella casa dei Felloni. Non ricordo come si chiamasse suo figlio, ma paremi Francesco.

    Peppino Serpagli

  16. Dolores

    Scusate se esco dal tema, ma tutti i paesi delle nostre valli ne avrebbero da raccontare di quel periodo in cui mangiavano pane e terrore...

    I tedeschi erano arrivati anche a Scopolo, legarono le campane, fermarono l'orologio e scelsero di creare il loro presidio in canonica, dove ironia della sorte, i paesani avevano costruito un cunicolo-rifugio sotto la chiesa, ma mio nonno Lino che conosceva il tedesco per aver lavorato in Germania come cuoco e costretto a cucinare per loro, rischiando la vita, aiutava i suoi compaesani a non morire di fame, passando loro il cibo, dall'apertura nascosta nell'armadio del parroco.

    A Pilati nella casa du Sartù i paesani avevano costruito sotto la cantina un rifugio che poteva contenere circa 30 uomini che venivano avvertiti da colpi di bastone dal vecchio di casa: 3 colpi se erano lontani, 2 se erano vicini, 1 se erano davanti casa. Iniziò un periodo nero fatto di rastrellamenti, privazioni, soprusi e paura; si racconta che pure le galline smisero di cantare per 7 giorni!

    Un giorno d'inverno, mentre gli scopolesi cercavano di fare poche 'arutte' per non attirare i soldati nemici, mentre tutti stavano pregando per una bambina in fin di vita, arrivarono anche i soldati mongoli dal viso butterato e gli occhi a mandorla, alleati dei tedeschi a perquisire le case, ma gli uomini si erano tutti rifugiati nei monti.

    Arrivarono anche ai Pariotti nella mia casa paterna e quando trovarono in una cascina mio padre ignaro senza documenti e appena tornato dai boschi per fare scorta di abiti asciutti, lo portarono via, incuranti delle suppliche disperate delle due sorelline Dina e Giannina appena orfane della mamma, e quelle di mio nonno Giacomo già sofferente per il figlio maggiore prigioniero in Alessandria d'Egitto.

    Penso anche al terrore di mio padre sballottato lungo il "strigà", a quante volte sarà scivolato nella "slambroccia" a quante volte avrà sbattuto contro le pile di neve, a quante volte avrà guardato i suoi affetti e la sua casa pensando che poteva essere l'ultima volta...

    L'avevano fatto "presunè" insieme all'Aldo del Casello e dall'Aldo della Piana che era partito con un sacco di pagnotte. I paesani e i miei familiari, li avevano seguiti con lo sguardo fino alle piante innevate vicino agli Zucconi, dove erano poi scomparsi proseguendo fino al Casello dove un mongolo aveva accompagnato Aldo nella sua casa a prendere roba asciutta, ma non erano riusciti a capire da dove veniva una voce maschile che urlava al fratello da un buco mimetizzato sotto il tavolo:- scàpeghe Aldu, Scàpeghe (scappa da loro)... Furono trascinati via con l'intento di fucilarli appena fossero giunti al loro presidio.

    Giunti ai Pilati mia zia Maria, incinta del 3° figlio Carlo, disperata cercò di convincerli a lasciare libero il fratello Pietro, ma i mongoli proseguirono il cammino :il tragitto sembrava interminabile e i tre giovani piangendo, pregando e sperando, si guardavano di tanto in tanto per rincuorarsi , ma i paesetti che passarono, come Pareto e Sarizzuola, non li scordarono più ...

    Intanto il nonno Giacomo, disperato andò da mio nonno Lino a chiedergli di salvargli il figlio e colto da malore, svenne nella neve. Nonno Lino che non sapeva dire di no ad una richiesta di aiuto, partì immediatamente pur sapendo che poteva non rivedere più le sue bambine e non ascoltò il parroco che lo chiamava matto. Si lasciò accompagnare da mia nonna fino ai Pilati e li Giuseppen ed Elsa parenti di Aldo del Casello, lo seguirono dicendo: -ne se pò lasàlu nà da lù stu poveru fiò...

    Giunsero a Bardi dove credevano di trovare il presidio e così tornarono indietro, 'risquarsando'la neve fino a Pione: per 3 volte fu respinto il mio intrepido nonno, alla 4° volta il comandante accettò di ascoltarlo.
    Il nonno, fingendosi padre di mio padre e dimostrando di conoscere gli altri due,
    cercò le parole e il modo migliore per toccare il cuore del comandante convincendolo che pure lui avrà una madre in Germania che avrebbe pianto se non fosse tornato, che si era trovato bene nel suo posto di lavoro germanico e che avrebbe voluto in futuro portare anche la famiglia: Bleffò, recitò, supplicò, fatto sta che il comandante forse ammirato dal suo coraggio, li lasciò liberi.

    Per un lungo tratto i tre giovani piangendo e tremando come foglie, camminarono guardandosi le spalle per paura di essere colpiti alle spalle...Gli altri prigionieri dissero loro: - siete fortunati voi che avete avuto questo coraggioso uomo che ha rischiato per voi, prendete il nostro pane, a noi non serve più...
    I tre giovani, mio nonno, Elsa e Giuseppen, tornarono a Scopolo dove tutti pensavano di non vederli più e la prima cosa che fecero fu di passare in chiesa e ringraziare Dio di essere salvi e il parroco disse che la piccola Rina spirata da poco, aveva pregato per la loro salvezza.

    Il giorno dopo mia nonna Ida e la sìa Pinota del Casello, andarono a Pione a portare al comandante una damigiana di sidro che il nonno aveva promesso e videro i prigionieri che dissero loro: - quei tre ragazzi possono fare un monumento a quell'uomo che li ha salvati: 3 giorni dopo furono fucilati.
    Da quel giorno mio padre, per simpatia e per gratitudine, incominciò a frequentare più assiduamente la casa del nonno Lino, senza sapere che stava cambiando la vita di tutti: vide crescere mia madre, se ne innamorò e si sposarono nel 1950 : 17 anni lei, 34 lui e si amarono fino alla fine della loro vita ed oltre... ne sono certa!

    Tratto dal mio libro: Il mandarino nella scarpetta!

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