Casanova di Bardi
Un paese nobile e glorioso della Val Ceno, ora rrestano, come malinconici testimoni, costruzioni che sono vere e proprie opere d'arte
Casanova di Bardi, situata sul versante del Monte Carameto verso il Ceno, baciato dal sole dal mattino a sera, è, come tutte le piccole frazioni di montagna, abitata da poche persone e solo nel fine settimana e durante l’estate si ripopola, ma chi ci vive tutto l’anno custodisce questo posto con cura ed amore. Lo si percepisce subito salendo dalla Provinciale e, più ci si avvicina alle case si nota l’amore verso l’ambiente, l’impegno lavorativo con cui son ben tenuti campi, boschi, edifici. La Chiesa con il campanile in sassi padroneggia sulla frazione e dà il benvenuto a visitatori e pellegrini, mettendosi in bella vista già da lontano.
Dal belvedere del sagrato il panorama è sublime: Bardi e castello, meandri del fiume Ceno, Monte Dosso, Pietrarada, Pizzo D’Oca, Tosca, Rocca di Varsi sembrano prossimi, se tendi la mano hai l’impressione di toccarli.
Oltre al panorama attira la mia attenzione prima l’antica Cappella Cimiteriale, posta a fianco della Chiesa, poi il complesso di case adiacenti.
La Cappella Cimiteriale secondo le tipologie ricorrenti nella Valle (Lezzara, S.Giustina), risale alla seconda metà del’700, andando a sostituire le tombe ipogee della Chiesa stessa.
La Chiesa che al momento della mia visita è chiusa, è dedicata a S.Maria Assunta: infatti nell’abside è rappresentata dal manierista G.B. Trotti, detto Malosso, l’Assunzione (1595-1605 circa).
La pieve di Casanova è molto antica, citata in un documento dell’anno 874 e in un altro dell’898 che attesta il servizio presso la stessa di otto preti, due chierici e dodici ecclesiastici che certamente dovevano trovare nel territorio le risorse per il loro mantenimento.
La pieve aveva la giurisdizione su un territorio molto vasto, in periodi diversi sulle cappelle di Grezzo, Tosca, Bardi (S.Protaso), Gazzo. Presso la pieve c’era il fonte battesimale; alla pieve spettava il diritto di promuovere pellegrinaggi o processioni di preghiera; dalla pieve dipendeva il mercato, grande occasione non solo di commercio e di lavori artigianali, ma anche di cultura: attraverso i cantastorie si trasmettevano le vicende e i fatti salienti dell’epoca.
Dalla pieve dipendeva il mulino (costruito probabilmente lungo il rio alla confluenza del Ceno, ove è ora il Mulino Castelletto). Il mulino era la forma di controllo di produzione poiché tutti erano costretti a far macinare i cereali per le farine e i semi per l’olio. Dalla pieve dipendeva il forno che inizialmente era unico per tutto il paese. C’era anche una fornace per la calce utilizzata per le costruzioni in sasso (come la pieve stessa, la canonica, le case dei ricchi, il mulino).
Documenti attestano la presenza di vigne con grande produzione e vendita di vino, nonché l’accurato controllo delle acque e dei boschi; questi ultimi venivano misurati in quantità di suini che potevano mantenere con le ghiande.
Il complesso costruito tutto in sasso, adiacente la Chiesa è in parte agibile ed in parte no: meriterebbe di esser ristrutturato sia per la sua posizione, sia per un utilizzo pubblico. A questo punto la mia fantasia si accende: come sarebbe bello creare un ostello, un campus estivo per studenti (gemellaggio con altri paesi o Paesi del mondo) o sale polivalenti per mostre, conferenze, concerti, in un ampio scambio culturale tra Comuni della Val Ceno, Val Taro e quante altre Valli interessate.
So che il mio è un sogno, forse un’utopia, ma lanciare qualche idea per sensibilizzare le autorità pubbliche non fa male; nulla togliendo agli sforzi dei privati cittadini e degli abitanti di queste zone che, riuniti in associazioni autofinanziate, hanno sempre lavorato e s’impegnano per mantenere vivi questi gioielli della nostra montagna, memori dell’importanza del loro passato che offre sempre molti spunti!