Il vino della Val di Vara

Nel piccolo paesino di Carro si produce da qualche anno vino di qualità, tra cui una vera sorpresa: il Vermentino
Quello che oggi racconta una volta lo sognava. Gianluigi Careddu a Carro, piccolo Comune della Val di Vara, ci ha trascorso tutta la sua infanzia, ed è proprio da qui che ha voluto concretizzare la sua primordiale passione, ereditata un po’ da suo nonno Luigi: produrre vino.
È proprio in quelle vacanze a Carro, ospitato dai nonni, che Gianluigi ha iniziato ad assaporare il piacere della campagna, raccogliendo more o vendemmiando l'uva.

Quest’inverno ho assaggiato Cian dei Seri, il suo Vermentino, al ristorante “Passocento”, ed è stato amore a prima vista. Non conoscevo la cantina e ho chiesto ragguagli: “È un vino che fanno qui vicino, la cantina si chiama I Cerri, e Gianluigi è un piccolo produttore, ma in gamba”. Così ho fotografato l’etichetta con l’impegno di conoscerlo. Ero troppo curioso di comprendere da chi e come veniva prodotto quel “bianco”: in fondo, si otteneva solo al di là del passo Centocroci, dopo Varese Ligure, a mezz’ora dalla Val Taro...

Oggi, tra quelle case dai colori pastello, immerse in boschi di cerri e castagni, a due passi da Sestri Levante, Gianluigi “da Genova” ci ha messo però le radici, proprio come han fatto le sue viti. Prima con un bicchiere di Albarola in mano, e poi tra le vigne, Gianluigi inizia a raccontare la sua infanzia, e lo fa con estrema passione ed orgoglio. Nei suoi racconti, per una questione anagrafica, mi ci ritrovo; ma poi c'è che i nostri territori non sono così lontani, tant’è che diverse sue rievocazioni mi erano famigliari: parla di “Sandro e gli Amici” quando suonavano al Mafun di Maissana, del Ranch Camillo sul Centocroci o di quando veniva in discoteca al Centesimo di Sugremaro.

Anche Carro, esattamente come i nostri paesini, è profondamente cambiato, e quasi nulla è rimasto di ciò che ha raccontato: “Negli anni ’70 in paese arrivano quasi mille persone, il doppio dei suoi abitanti, i Milanesi si fermavano per tre o quattro mesi, allora c’era tutto, non mancava niente… se volevi potevi anche cambiare morosa ogni sera… era il paese del Bengodi".
La sua iniziale riservatezza si scioglie parola dopo parola e riporta alla luce ogni momento della sua vita: “Sono figlio di un operaio, mio padre non mi ha lasciato nemmeno una zappa, tutto quello che vedi l'ho fatto io, armato di sola passione”.

L'uva e la sua trasformazione tracciano il percorso di vita di Gianluigi. Una pulsione nata dietro gli occhi del nonno Luigi Paganini – conosciuto da tutti come u Tuscàn – e poi del padre, con il quale nascono le prime “competizioni enologiche”. Saranno proprio queste sfide familiari che porteranno Gianluigi a provare, seppur grossolanamente, le prime attenzioni tecniche, i primi accorgimenti migliorativi per la buona riuscita del suo vino: “Avevo rivestito il tino con una canna dell'acqua, la lasciavo andare giorno e notte, così da rinfrescare la temperatura di fermentazione… poi mi scoprì e finì il gioco. Non lo ammise mai, ma quella volta il mio vino bianco era migliore del suo”.

Anno dopo anno, la passione aumenta: i compagni di pallone saranno, al tempo stesso, i primi e i migliori acquirenti, mentre la passione e il diletto faranno il resto. Dall'immaginazione alla concretezza, dalla visione alla trasformazione. Nel 2006 le prime piantumazioni, nello stesso luogo dove il nonno, ottant’anni prima, faceva lo stesso. Poi, sempre per diletto, l'acquisto del primo laboratorio, sistemato in un locale nel centro di Carro – al posto dello storico negozio di "commestibili". E da lì è partito, senza freni e privo di paura: “Il sogno correva veloce e le terre piantumate aumentavano…”.

Tra una parola e l'altra, arriviamo finalmente in vigna. Al “Campo Grande” è racchiusa tutta la sostanziosa opera del vignaiolo, ovvero l'unione di tre piccoli campi strappati all'abbandono: “Qui, un tempo, ogni fazzoletto di terra era magistralmente coltivato al meglio, nessun terreno era in stato di abbandono. Gli anziani mi hanno sempre detto di quanto fosse fondamentale l'agricoltura in queste zone, di quando gli abitanti si spostavano “a dorso di mulo” verso Levanto per vendere i lori prodotti agricoli ed acquistare poi il sale e l'olio, ben più presenti in Riviera che nell’entroterra”.

Tra i filari ricchi di grappoli, sia bianchi che rossi, le parole di Gianluigi sono diventate ancor più vive, attente e ricche, sia di orgoglio che di passione. Qui il valore del territorio è dato dalla piantumazione dei vecchi cloni di Albarola, l'essenza della Liguria di Levante. La luce degli occhi e lo sguardo appagato sostengono il lavoro svolto, poi si avvilisce: “Una mattina sono arrivato e ho trovato la giovane vigna senza germogli, durante la notte erano riusciti ad entrare i daini… per non parlare poi di uccelli, istrici e cinghiali. Dobbiamo sempre essere vigili, non sottovalutarli mai”.

Finalmente, l'assaggio in cantina è la reale evidenza di come il suo impegno sia egregiamente ripagato. Il Vermentino non c’è, purtroppo è già stato tutto consegnato. Per magia compare però una bottiglia di bianco, un pezzo di nastro da carrozziere dice che era “Albarola 2020”. È un vino puro, corposo, di un’eleganza straordinaria, l’espressione integrale del sapore del mare e del fresco vento di “marino”: “A differenza del Vermentino che lo lascio macerare sulle fecce per cinque mesi, questo lo lascio per tre giorni e poi una filtrazione leggera”. Gianluigi orgogliosamente mostra in controluce il sottilissimo deposito: “Nei sogni bisogna crederci, bisogna avere il coraggio di mantenerli vivi. Ora l'obiettivo è quello di arrivare a 35.000 bottiglie, pur continuando a mantenere i criteri del biologico come stiamo facendo ora”.

Ancora qualche ann,o e anche l'ultima piantumazione di Granaccia (tipico vitigno a baccarossa del Mediterraneo), avvenuta durante i sacrifici e la forte demoralizzazione causata dal lockdown, sarà produttiva e andrà a completare la produzione dei vitigni rossi, oggi composta da Syrah, Merlot e dall'autoctono Ciliegiolo, con i quali viene prodotto il “Fonte dietro il sole”… un’altra immensa sorpresa trovata poi nel bicchiere.

Fare vino è senz’altro passione, ma anche sudore, sacrifici, pazienza, attesa, speranza. Anno dopo anno l'orgoglio però aumenta e, se tutto va bene, i risultati arrivano. Le radici dell'uomo sono un po’ come quelle della vite, l’espressione del territorio in cui nascono, vivono e si evolvono, ed è bello trovare ancora rami così ben saldi al proprio terreno e mani strette attorno alle proprie origini; le stesse che stanno ridando prestigio e onore a Carro, proprio a quel paesino dove una volta si faceva il vino per tutte le osterie della Riviera di Levante.

Ha collaborato a questo post:

LINK: la cantina I Cerri

Gianluigi tra vini e vigneti di Carro - Foto Gigi Cavalli ©



4 Commenti
  1. Nicola Cattaneo

    Ricordo bene assaggio a Passocento. Realtà che “stupiscono” e appassionano.
    E chissà, magari fanno da “intervento trainante” (come abbiamo imparato a dire col 110%) a qualcun altro. Intanto sinceri complimenti al produttore e ai suoi prodotti! Sperando anche che le istituzioni agevolino queste realtà, magari anche solo migliorando la viabilità o contribuendo a aiutare la difesa delle coltivazioni dagli attacchi dei troppi animali selvatici, quasi fuori controllo ormai, per chi ancora fa agricoltura!

  2. Solimano

    Il Vermentino rientra a pieno titolo tra i vini più delicati e articolati del vino bianco italiano, facilmente con l’autoctono Albarola tra i migliori della Liguria. Non conoscevo ancora la cantina e il giudizio espresso è basato a etichette che apprezzo e scelgo senza compromessi, i vini di Bosoni, Giacomelli, Santa Caterina

  3. Alessandro Sozzi

    Un grande amico che non c'è più ed il cui ricordo è incancellabile sarebbe stato felice di questo servizio e di questa notizia. Chi gli ha voluto bene lo riconoscerà

  4. Sonia Carini

    Un’altra storia della nostra bella e “piccola” Italia. Conoscere una persona attraverso il suo vino

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