In nome di mio padre
La storia di quei dodici ebrei ospitati in Valceno
A quel tempo Lina aveva sette anni e ricorda che l’ultimo desiderio del papà era quello di poter rivedere la famiglia Fargion, dodici ebrei che ospitò, anzi nascose nella propria casa poiché costretti a fuggire da una pensione di Salsomaggiore. Evitare la deportazione o ancor peggio la fucilazione era la priorità.
Un tormento che Lina si portava dentro e dietro da oltre settant’anni, prima per non averli mai rintracciati e poi per non essere riuscita a soddisfare un desiderio.
Per questo motivo, proprio in nome di suo padre, ha scelto di mettersi al computer e tentare di porre rimedio a quel senso di colpa che di tanto in tanto l'angosciava. L’amico Google, come tutti sappiamo, non tradisce mai le aspettative, così scrive una lettera all’Associazione degli Ebrei milanesi e dopo qualche giorno le squilla il telefono di casa: “Buona sera, sono Liliana Treves Alcalay… dei Fargion”.
Si trattava proprio di un membro di quella famiglia, la bambina che all’epoca aveva tre anni, ed oggi settantaquattro, in pratica era l’unica rimasta, la stessa ospitata dai Labadini e in seguito dalle famiglie Cordani di Varsi e Croci di Valmozzola. Dopo aver trovato protezione nelle campagne della Valceno, nel 1944, grazie ad alcuni documenti falsi, tutti i membri della famiglia raggiunsero la Svizzera e vi rimasero fino alla fine della guerra, per poi tornare nella loro Milano. Oggi Liliana è cantante e scrittrice, ha pubblicato anche due libri autobiografici sulla sua esperienza di bambina nel parmense.
Di questa storia a lieto fine, per mezzo della Consulta Culturale di Varsi e la realizzazione video di Flavio Nespi, è stato realizzato un filmato con le testimonianze delle due protagoniste, incontratesi nuovamente a Varsi il 14 settembre scorso.