Gli amici ritrovati
Dal fondo di un cassetto sono uscite una serie di diapositive degli anni '80 che ritraggono ragazze/i allora ventenni o giù di lì, storielle comprese
In ogni casa che si rispetti c’è sempre un cassetto o una scatola dove vengono raccolti gli oggetti del cuore, a prima vista insignificanti, ma inseparabili per lo spirito di chi li ha conservati con estrema cura. Nei giorni di quarantena, una settantina per la precisione, mi sono riconquistato quella parte di tempo dedicato ai famosi “lavoretti”, quelli contraddistinti dal famoso motto “lo farò domani”… in realtà un accumulo di rimandi lungo una trentina d’anni.
Nel caso specifico mi riferisco a delle diapositive, pellicola “positiva” strettamente legata agli anni ’80, nonché testimone di molte serate invernali trascorse tra amici… tutti lì a guardare quelle immagini proiettate su un muro o su uno schermo bianco. Così, con la necessaria dovizia e con il tempo necessario, ma quello non mancava, ho trasferito quelle immagini dal supporto analogico a quello digitale. Un passaggio indispensabile per farle uscire dall’oblio in cui erano cadute, offrendo loro una seconda possibilità, un’altra vita che andasse oltre l’oblio rappresentato dal fondo buio del cassetto.
Oggi la condivisione delle immagini non avviene nel soggiorno o, come nel mio caso, nella soffitta di casa, ma bensì attraverso i mezzi informatici: digitale, social o blog.
Le immagini che seguiranno rappresentano anche gli anni della mia passione per la fotografia: le prime "visioni", il passaggio alla “reflex” e i primi esperimenti di luce. A ogni amica e amico è legata una circostanza e una storiella che ho scelto di far rivivere accanto alle immagini che li ritraggono (quattro per ogni persona), un po’ come se il tempo si fosse fermato a quei momenti vissuti, a quei giorni divertenti, a quegli anni spensierati, a quel legame che si creava tra l’obiettivo del fotografo e lo sguardo del soggetto ritratto. Allora lo specchio dell’anima, oggi della memoria.
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Iniziamo con Giovanna nel paese fantasma di Bossi (o Bozzi), raggiunto a piedi, con la macchina fotografica a tracolla. Eravamo nella primavera del 1988. Lo stile di queste fotografie era senz'altro condizionato da un fotografo che a quel tempo ammiravo e seguivo: David Hamilton.
Scattate con Zenith manuale; pellicola B/N Ilford 800 ASA; stampate da me su carta satinata Ilford; il filtro flou posto davanti all'obiettivo era un telaietto per diapositive 6x6; la camicia da notte della nonna era invece di Giovanna.
Alessandra è stata più volte testimone del mio obiettivo e la sua indiscussa fotogenia agevolava la fantasia, sia nel solaio di casa mia che nello studio fotografico, gentilmente messomi a disposizione dal mio “maestro” Remo Belli. I risultati di quegli scatti si potevano vedere solo dopo lo sviluppo, quindi una settimana dopo, e l'attesa era sempre ansiosa e il risultato, a volte, piacevolmente inaspettato.
È la volta di un uomo e il suo nome è Adriano. Era il 1989. Fotografare un uomo non era come farlo con una donna, mi ero reso conto che era molto più complicato. In ogni caso una trentina di fotografie da scegliere per comporre il suo “book” erano uscite, gli servivano per un incontro a Milano, guidato da Domenico Zambelli. Queste immagini non sono ovviamente rappresentative per il fine di quegli scatti, approfittai però dell’occasione per farne alcuni con i soliti giochi di luce: l'effetto "persiana" era per mezzo di un pezzo di plastica forata a "rettangolo" e posta sul faro illuminante.
Nella scatola dei ricordi targati 1988 c’è anche Florence. Era appena arrivata dalla Francia. Pure lei fotogenica e quindi si era già a metà dell’opera. Anche in questo caso siamo nello studio fotografico di Remo, gentilmente messo a disposizione. Le luci padroneggiavano come sempre, mentre la presenza del colore rosso e le inquadrature erano ispirate ad una fotografa che al tempo mi piaceva molto: Alberta Tiburzi. Il disco in vinile, che ci ha anche fatto da colonna sonora durante la serata, è "American Gigolo" di Giorgio Moroder.
È il momento di Zeffiro. Era il 1989 e al suo omonimo “Zephi Store” servivano delle fotografie per pubblicizzare il suo negozio di abbigliamento e articoli sportivi. Nelle quattro immagini si possono notare i costumi da bagno Town & Country, camice Replay e abbigliamento Belfe, mentre l'immancabile Studio Line, il gel per capelli di L’Oreal, assieme alle onnipresenti Marlboro e agli immancabili occhiali Ray-Ban, erano un tutt'uno con il soggetto.
Chiara è stata la mia seconda “modella” ad essere ritratta. Qui eravamo nella prima metà degli anni ’80. Chiara abitava nella mia stessa via, era un’amica di mia nipote Barbara ed era bellissima: motivo più che valido per “fare” un rullino senza tanti problemi. Scattate nella mia soffitta con la Zenith manuale, pellicola Kodak 400 ASA, filtri colorati a pennarello e fondale con cartoncino colorato "Bristol".
Ricordo che le fotografie che scattammo erano ispirate a diversi nomi della moda che vestivano Domenico Zambelli e ora lo posso dire con franchezza: “E’ sempre stato avanti”. Tra le sue firme predilette ricordo bene, compresi i singoli capi che indossava, quelle di Giovanni Versace, Gianfranco Ferré e l’appena nato “Aquilotto” di Emporio Armani, oltre a Romeo Gigli, allora veramente per pochi eletti. Ho anche un flashback, quando lavorò nel negozio "cool" di Gianni Castaldini a Parma, ma l’esperienza durò solo qualche giorno: “Per incompatibilità”, mi disse. Così una sera del 1985 ci ritrovammo a fare le fotografie con una valigia piena di vestiti, anche se queste pubblicate sono quelle che avevo disponibili su diapositiva.
Ogni servizio fotografico racchiude una sua storia e un suo perchè. Oggi è il momento di scoprire quella di Sabrina. Per farlo facciamo il solito passo indietro, andiamo al 1988. In quell’anno Zeffiro assolveva il militare nel corpo dei Carabinieri a Pietra Ligure (Savona). Era agosto e mi invitò a trascorrere qualche giorno al mare: “Dai vieni, sei mio ospite”. Accettai e solo all’arrivo scoprii che il mio alloggio era presso un’ala dell’Ospedale Santa Corona, dove dormiva il mio “socio” e altri suoi commilitoni. Senza dubbi un’esperienza oltre le righe. Fu quindi a Pietra Ligure che conobbi Sabrina, la quale ci venne poi a trovare a Bedonia qualche mese dopo. Occasione favorevole per scattarle qualche foto… che negli anni ha poi smarrito infinite volte e questa sarà l’occasione buona per poterle salvare ancora una volta.
Sapevo che Nathalie era la sorella minore di Vittoria, nulla di più. Poi un giorno la vidi a Las Vegas, era il bar di punta dei giovani bedoniesi, e le chiesi se gradiva fare qualche foto: guardò le amiche con cui divideva il tavolo, quasi a cercare una loro approvazione e poi mi disse di sì. Qualche sera dopo ci ritrovammo dal buon Remo… convinto, finalmente, a consegnarmi copia della chiave del suo studio.
Prima è passata sotto all’obiettivo di Remo e solo dopo qualche mese al mio. Con Paola era veramente la prima volta che scattavo delle foto con fondali, luci e flash. Quella sera provai la macchina fotografica nuova, una Nikon FE con l’obiettivo da 105 mm, ideale per i ritratti, i filtri della Cokin e poi disponemmo qualche oggetto per la scenografia. Era il 1984, sono passati degli anni, ma ricordo benissimo che ci divertimmo entrambi. Con lei c’era confidenza, le sono sempre stato amico, da quando arrivò da Londra: “Bellissima” e il fatto che arrivasse dall’estero la rendeva ancor più affascinante. Ovviamente anch’io, ma come tutti i miei coetanei, me ne innamorai, così a prima vista, ma avendo quattordici anni fu dura confessarglielo… il “rossore” prevalse. Gli amici erano comuni e continuammo a frequentarci per qualche anno, poi ci perdemmo di vista, fino a quando le chiesi se potevo scattarle qualche foto.
Il periodo è quello del negozio di abbigliamento Zephy Store a Borgotaro: 1989. Mariagrazia era a quel tempo una delle commesse e la scelta di scattarle delle fotografie, collegate ai capi di abbigliamento in vendita, è stata inevitabile, non mancava nulla. Ricordo che i marchi che Zeffiro (Squeri) riuscì ad ottenere in vendita erano in quel periodo molto richiesti dalla clientela e ambiti dagli altri negozianti: Best Company, Filippo Alpi, Invicta, Belfe, Barbour, Virtus Palestre, ecc. Le immagini erano state pensate per poi essere proiettarle durante la sfilata di moda che si tenne presso l’Albergo San Marco a Bedonia. Accadeva 31 anni fa... anche lui, un personaggio “avanti”, un altro precursore dei tempi.
Dopo diverse esperienze “scattate” con amiche e amici, siamo giunti al suo giorno, avrei dovuto riservarle la prima puntata poiché è stata veramente la prima donna ad essere oggetto delle mie inquadrature. Il soggetto a cui mi riferisco è mia nipote: Barbara. La presenza femminile che più avevo sottomano. Ad onor del vero devo dire che è stata più un’imposizione che altro, anticipando quello che dirà in merito: “Semmai una delle tante e probabilmente il male minore”. Siamo nel 1983, sempre nel mio solaio, e la voglia di scattare e sperimentare era tanta, tra cui i doppi scatti (non si faceva scorrere la pellicola e poi veniva sovrapposto un altro scatto). A fare da scenografia c’erano anche diverse bottiglie di liquore, lì abbondavano in quanto era anche il rifugio delle bicchierate tra amici (che qualcuna poi lavava ;), mentre l’intensità luminosa avveniva tramite il sole che filtrava dall’abbaino, più o meno coperto. Scattate con Zenith manuale, pellicola Kodak 400 ASA.
Siamo nel 1987, anno successivo all’uscita di “9 settimane e mezzo”. Raramente un film ha segnato così tanto un’epoca e con lei i costumi, la pubblicità, la musica, la moda e il cinema stesso. È anche uno dei rari casi, assieme al film “Flashdance”, in cui ogni fotogramma della pellicola è, a suo modo, una fotografia perfetta, da stampare e poi incorniciare. C'è da dire che il regista di entrambi i film è sempre il geniale Adrian Lyne. Il condizionamento era stato quindi inevitabile e a favorirne era stata Licia. Una ragazza di Como che si trovava per qualche giorno a Bedonia perché amica di Silvia. Frutta, cocktail, colori e luci al minimo vitale erano stati i requisiti della serata.
Per aver fatto queste foto è quasi scoppiato un caso diplomatico, ancora oggi simpaticamente non dimenticato, come se non fossero trascorsi 33 anni, ma 3 minuti. Quella ritratta in fotografia è Simona, mentre il “Casus belli” fu scatenato dall’amica comune Elena. Il mio errore fu quello di aver promesso di scattare le foto ad entrambe, solo che poi non andò come previsto. A mia discolpa c’è il fatto che abitavano a Milano e quindi creare una nuova occasione non era proprio semplice: “Mi cospargo il capo di cenere”. A sostenere la mia candida verità potrei chiamare in causa anche il bedoniese Sandro Sozzi, amico e conoscente di questa amichevole triade.
Ricordo che ci siamo conosciuti in treno. Era il 1985 e facevo il pendolare “militare” sulla linea Ivrea-Borgotaro. È sul sedile della “Seconda classe” che ho iniziato a fare quattro chiacchiere con Monica. Io proseguivo per Milano e lei scendeva a Fornovo. È stata in quella mezz’ora di chiacchiere fortuite che mi chiese, dopo qualche tempo, se mi sentivo di fare le fotografie per il suo prossimo matrimonio. Per me un salto nel buio, non lo avevo mai fatto e così le chiesi se accettava il rischio: “Dai, perché no?”. Quello di Monica e Daniele è stato quindi il mio primo servizio matrimoniale. Il tema che scelsi per l’album fu la “Partenza”, quella di un ipotetico viaggio di nozze. Così, dopo la celebrazione religiosa, ci trovammo presso la stazione di Borgotaro: loro arrivarono con un’auto d’epoca e io con una vecchia valigia.
Ho cercato i negativi per scansionare alcune di quelle fotografie, ma non li ho trovati. Dalla scatola dei ricordi sono uscite solo alcune foto stampate in bianco&nero.
Grazie Gigi per i bei ricordi ❤️❤️❤️
Ma che belle Gigi !!! Si il taglio è proprio anni 80 bellissime, BRAVO !!!!