Il sarto della Quinta Strada

La famiglia Verti impiantò in Val Ceno un vero e proprio laboratorio di abiti su misura
Questa è la storia di un uomo che ha lasciato l’Italia, nient’altro che una delle tante storie di persone che si separano dalla propria terra per ricorrere i loro sogni e i propri successi oltre oceano. Domenico Verti, nato a Drusco nel 1905, decide di staccarsi dalla famiglia e lasciare l’Europa nel 1930.
Giunto al porto Genova scorge subito, per mezzo di due grandi camini fumanti, l’enorme transatlantico ormeggiato in banchina: bello, enorme, affascinante, un gigante che stava raffigurando a tutti gli effetti il suo destino, l’America. “Ormai non si torna più indietro”, deve aver pensato.

Questa sua decisione nasce per mezzo di una ragazza che tornava ad ogni estate a Nociveglia, abitava a New York e il suo nome ricordava tanto quello di una principessa: Ademea. Bruni il suo cognome. Fu lei a prospettare a Domenico la possibilità di emigrare e seguirla nel suo Paese: “Lavoro nella segreteria del Sindaco Fiorello La Guardia, conosco la città, persone, opportunità… Fatti coraggio!

Quella di Ademea era una proposta da non sottovalutare: l’America offriva mille opportunità, e per chi aveva idee e sceglieva di sgobbare era il luogo ideale. La decisione non tardò, scrisse a quel nome di principessa e partì. Dopo una settimana di viaggio, in un mare impenetrabile e forse conosciuto per la prima volta, uscì sul ponte per vedere la Statua della Libertà, New York, l’America. Tanto emozionato quanto disorientato, sbarcò a Ellis Island con la valigia in una mano e la fortuna nell’altra.
Sembra di vederlo, con lo sguardo serio ma appagato, la giacca scura e le scarpe lucide da viaggio, presentarsi davanti al funzionario dell’emigrazione per le domande di rito, ma lui non aveva nulla da dichiarare, così infilò la mano in tasca ed estrasse il motivo per cui si trovava lì: un sacchettino di velluto blu con dentro ago, filo e un metro giallo da sarto.

Domenico era stato cresciuto in una famiglia di sarti. Il papà Livio nacque nella campagna di Medesano nel 1880 e lasciò la “Bassa” nei primi anni del ’900 per sposarsi con Maria Zanelli di Drusco: ebbero sei figli, anzi otto, ma due morirono piccolissimi. Di professione faceva il sarto; e appena Guido, Domenico, Giuseppe e Giovanni furono in grado di tagliare, imbastire e cucire, insegnò loro il mestiere. A quel tempo l’Alto Ceno era una valle densamente popolata, ricca di coltivatori, boscaioli e commerciati, tutte persone a cui confezionare un bell’abito per la festa e da lavoro “da tutti giorni”. La moglie, assieme alla figlia Giovanna provvedeva invece al mantenimento della casa e a quella che sarebbe poi divenuta una vera e propria sartoria al “Belvedere” di Ponteceno; mentre il più giovane Luigi, il sesto figlio, terminati gli studi, diventò medico.

Ma torniamo a seguire il nostro Domenico appena sbarcato. Dopo qualche tempo incassò la sua prima “settimana” lavorativa americana: un dollaro! Successivamente, fu assunto dalla famosa catena di grandi magazzini statunitensi “Saks Fifth Avenue” e la sua creatività, tipicamente italiana, unita all’indiscussa caparbietà, lo condusse a dirigere proprio il settore sartoriale della sede principale, collocato al sesto piano sulla “Quinta Strada” newyorkese (tutt'ora esistente). Una divisione composta da una sessantina di dipendenti e che poi diresse per trent’anni.

Il successo lavorativo lo portò quindi ad invitare negli Stati Uniti anche il fratello Guido, che accolse l’invito e venne anche lui assunto nella grande “squadra” di Saks. Domenico ricopriva ormai un ruolo prestigioso e di popolarità, si ritrovava al centro dello shopping internazionale del lusso e del must americano dell’abito sartoriale, frequentato da attori, finanzieri e politici, Casa Bianca compresa: tant’è vero che non mancò di far inviare un saluto agli alunni e alla cognata Bruschi Bianca, maestra elementare a Ponteceno, nientemeno che da Jacqueline Kennedy (in allegato la lettera).

Con Ademea poi si sposò: e fu anche grazie alle sue autorevoli frequentazioni che ottenne un nuovo successo personale e imprenditoriale, testimoniato da diversi articoli pubblicati sul “New York Times” e riviste di moda. L’indiscussa affermazione arrivò con la creazione di una sua linea sartoriale, la “Domenic Verti - Fashion for men”, sempre creata e distribuita all’interno di “Saks”. Un altro punto d’arrivo e d’immensa soddisfazione, fu che le sue creazioni si potevano ammirare in vetrina accanto alle proposte di grandi sarti italiani e francesi, come Nicola Trussardi e Yves Saint Laurent: “Noi, a loro differenza, cuciamo a mano anche gli occhielli”.

Una nota curiosa, che riguarda invece la sua personalità, viene a galla attraverso un aneddoto accaduto negli anni ’70, e che vede don Renato Costa suonargli il campanello di casa. Tutti sappiamo che erano gli anni dei suoi innumerevoli viaggi americani, quelli dedicati alla raccolta fondi per la costruzione dell’Istituto San Marco, avvenuta letteralmente “porta a porta” presso i nostri emigrati.
Ecco dunque che don Renato arriva a bussare anche alla sua, ma a Domenico Verti i preti non vanno tanto giù, non si fida: così, dopo averlo ascoltato, lo licenzia e pur di far presto gli chiama un taxi, oltre a mettergli in mano i soldi per la corsa.
Allo zelante sacerdote non resta che tornare sui suoi passi, una delle rare volte, a bocca asciutta. Domenico lo segue con lo sguardo dalla finestra, lo vede parlare con il taxista e nota che la macchina riparte senza il passeggero, perché don Costa sceglie di proseguire a piedi, nonostante la pioggia.

Il giorno dopo, incuriosito, lo rintraccia al telefono e chiede chiarimenti: “Domenico, ho preferito aggiungere i suoi 10 dollari a quanto stavo raccogliendo, perché ne hanno più bisogno i ragazzi di Bedonia che i taxisti di New York”.

Da quel momento Domenico capì chi era veramente don Renato Costa, così il giorno dopo lo mandò a prendere con la Limousine, lo invitò nuovamente a casa, nel contempo gli prese le misure e gli fece poi recapitare un nuovo abito scuro: "Se vai in giro per l'America ti serve un vestito come si deve". Domenico Verti, negli anni successivi, diventò uno tra i suoi più grandi benefattori.

L’Italia l’aveva nel cuore, anche se a Bedonia non ci ritornava spesso: gli unici due suoi viaggi furono nel 1968, in occasione della cresima del nipotino Livio Verti, mentre la seconda fu nel 1978 solo per il piacere di rivedere i suoi famigliari.

Domenico Verti, nato a Drusco il 24 settembre 1905, sposato con Ademea Bruni, da cui ebbero Maria, morirà a New York il 14 settembre 1995.

P.s.
Ringrazio i nipoti Livio, Maria e Lucia Verti per avermi aiutato a ricostruire una parte importante della loro storia famigliare.

Documenti: Foto e Stampa



11 Commenti
  1. Alice Franchi

    Grazie per averci raccontato una bella storia. Tante persone sono partite dalle nostre zone per le Americhe, a inizio novecento, sì sono fatti onore

  2. Mariapia

    Letta che bella storia. Questi racconti mi fanno sempre sognare. Immagino Domenico che sogna l’America poi il viaggio l’approdo la nuova lingua, la città i rumori la gente... un mondo differente. Mi fanno sognare queste storie ma mi fanno anche tanto stringere il cuore. Un peccato dover cercare l’America e non poterla trovare qui.

  3. Evelina Ferrari

    Mia mamma ha lavorato con “Meghin” e Ademea per quasi 40 anni. Erano dei veri signori. Sempre altruisti, disponibili e generosi. Ademea è stata la grandissima forza dietro un uomo incredibilmente pieno di creatività e talento. I suoi smoking erano i migliori a New York e indossati di chiunque era qualcuno.

  4. Ponzini Clara

    Bellissima storia e in particolare il pezzo riferito a Don Costa mi ha fatto commuovere complimenti

  5. Sonia Carini

    Una storia apparentemente come tante ma non nella sostanza. Traspare il tipico ingegno italiano accompagnato dalla tenacia, se poi aggiungiamo il grande coraggio, affrontare lunghi viaggi in terre sconosciute e di un’altra lingua non era come assaporare un bicchierino di rosolio, il successo del signor Verti era già stampigliato sul biglietto di sola andata. Una storia che appare come un segreto ben custodito che ora ha preso luce.

  6. Claudio M.

    Bellissimo racconto sul grande sarto newyorchese Dominic Verti, affettuosamente conosciuto in Val Ceno-Taro come "Meghen di Sartu' da Sen" (dei sarti del Ceno).
    Essendo amico e cliente dei Sarti di Ponteceno (Giovanni e Giuseppe Verti) ho avuto la fortuna, l'unica volta che andai nella "Grande Mela", era il 1973, di portare i saluti a Domenico, dei suoi fratelli "Giuvannen" "Giuseppen", e dei suoi nipoti.
    Cosi' in quel torrido luglio, a New York, Manhttan, incontrai Domenico Verti che, impegnatissimo sul lavoro, mi disse di visitare tutti gli undici piani di "Saks" (nel palazzo che occupava tutto un quartiere) e aggiunse : "Vai e scegli un regalo da portare in Italia e poi fammi telefonare che ci penso io"...
    Scelsi una racchetta di legno e ritornai a salutarlo e ringraziarlo; lui sollevo' le sue preziose dita dalla stoffa e con un sorriso mi disse di salutare tutti i suoi, oltremare.
    Grande persona Domenico, grande famiglia cenese, i Verti... bella esperienza... conoscere queste persone indimenticabili.

  7. Italo Vignali

    E bravo Gigi,
    un altro dei tuoi lavori di ricerca terminati in racconti delle persone delle nostre valli, come sei solito fare... ciao

  8. Isa

    Nell'armadio a Revoleto conservo ancora la giacca di velluto e il gilet (u zippon) del nonno Pietro cuciti dai "sartù de Belvedere" di Ponteceno... era un lusso avere un capo cucito dalle loro abili mani.

  9. Danilo Piroli

    Una bella storia di cui essere orgogliosi

  10. Remo Ponzini

    L'esempio del sign. Domenico Verti che cosa ci insegna ? Che con la dedizione, l'intraprendenza, la capacità si possono ottenere anche grandissimi risultati. Ovviamente solo poche persone possono scalare delle vette così elevate ma quando si ama un certo lavoro la fatica viene sopraffatta dalla passione e dalla gioia appagante della conquista.

    Purtroppo negli ultimi decenni si è persa l'abitudine di andare ad imparare un mestiere e ciò lasciò la popolazione in una sorta di stallo dove, per trovare un idraulico, un elettricista, un falegname, un meccanico o altro ci voleva la pazienza di Giobbe. Il "vengo domani" non dava alcuna certezza e le telefonate di sollecito si ripetevano all'infinito.

    Per nostra fortuna ci venne in supporto l'IPSIA  che, come tutti sanno, è una scuola professionale dove studio e lavoro viaggiano in perfetta sintonia. Non solo aule scolastiche ma anche laboratori. E poi anche collocamenti "pro-tempore" presso le varie azienda della zona per apprendere direttamente quale sarebbe stato il loro lavoro a fine studi.
     
    Faccio un esempio. Nel condominio dove abito c'era un ragazzo (Alessandro Roffi) che studiava "meccanica" e, nel tempo libero, era sempre nel garage della madre a smontare e rimontare biciclette. Iniziò così ma poi passò alle moto ed infine alle auto. Aveva una passione smisurata accompagnata da una forte bramosia di apprendere. Ebbene, appena finiti gli studi, presentò una domanda alla nota azienda "DALLARA spa" di Varano e, dopo un colloquio conoscitivo, fu immediatamente assunto.

    Ben pochi riusciranno a giungere nella quinta strada di New York ma con l'impegno e la passione ognuno di noi potrà realizzare i propri sogni. 

  11. Alessandro Roffi

    Buonasera a tutti,
    dopo aver ricevuto il suggerimento di dare un occhio a questo link mi ritrovo catapultato in questo sito ed alle sue belle storie sulle nostre valli, veramente belle e ben scritte, è sempre bello capire e conoscere il passato del nostro paese ed è altrettanto bello che ci sia qualcuno che si preoccupa di raccontarci storie come questa!

    Certo non siamo qui per parlare di me, ma ringrazio davvero tanto Remo per avermi preso come esempio, ho tantissimi bei ricordi di via Manzoni e molti dei quali grazie a lui.

    Come me ci sono tanti ragazzi e ragazze che hanno voglia di guardare “un po’ più in là” e di essere curiosi ( perché nella vita non bisogna smettere di essere curiosi ) e per chi sa cogliere questo modo di essere, la nostra scuola aiuta molto a capire qualcosa in più sul proprio futuro.
    Nel nostro piccolo siamo una bella realtà e dobbiamo continuare ad esserlo !!!

    Ciao a tutti e grazie della bella lettura.

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