In vacanza nella fresca Val di Taro
Il racconto di un "lungo" viaggio narrato da don Ferruccio Botti che inizia in treno da Collecchio, per giungere a Borgotaro e proseguire poi in corriera per Bedonia
Nel testo emergono diversi aspetti che caratterizzarono l'evoluzione dei trasporti, del territorio e delle tradizioni contadine, ovvero l'abbandono della locomotiva a vapore, il miglioramento del trasporto in valle per mezzo delle ormai grandi e comode corriere di Carpani, quelle che collegavano la stazione di Borgotaro con Bedonia, fino al "tortuoso e impetuoso corso del Taro" e la mietitura "ritardataria" del grano.
Don Ferruccio Botti, che spesso si firmava sui giornali con lo pseudonimo di "Ferrutius", come in questo caso, era un cultore di storia locale, appassionato di gastronomia ed enologia, e descriveva con assiduità personaggi, monumenti e momenti di vita del Parmense e della diocesi.
Le doti del sacerdote-scrittore spiccano appunto nel testo che segue, partendo proprio dall'evidente capacità di scrivere, per poi amalgamare tra di loro cultura, ironia e poetica.
Primo giorno a Bedonia
Luglio 1933
La mia automobile ha una marca speciale… che varia al variar delle occasioni! Anzi la mia è l’automobile degli altri e ha la marca “Amici!”. È naturale che con quest’automobile qualche volta si resti a piedi, o si debba prender il treno.
“Volete molti amici, diceva quella birba del Manzoni, volete molti amici? Cercate di non averne bisogno…”.
Fu così che ieri sera dovetti decidermi di prender il treno perché l’amico con la macchina non arrivava ed io dovevo assolutamente partire!
Eccomi dunque a Bedonia egualmente, dopo aver trascinato con me la valigia. In compenso ho potuto rivedere tutta la vallata del Taro dalla pianura di Collecchio a quella ondulata di Bedonia, per la linea ferroviaria che ora mi farebbe provare assai meglio la gioia di viaggiare in treno, se fossi ancora, come nei tempi dei primi viaggi per essa, un fanciullo decenne. Non più la noia del fumo, ma al posto delle vaporiere le snelle macchine elettriche; come da Borgotaro a Bedonia un comodo se pur grosso autobus, il quale non ha niente a che fare con quelli di quindici anni or sono!
Io ricordavo molti versi di poeti nostri sulla bellezza della Val di Taro, ma due in modo tutto particolare mi hanno accompagnato insieme col rumore delle ruote sul binario, cui parevano quasi adattarsi come ad una musica strana, di un più strano strumento: “La Valtarese è bel paese”. E da Fornovo in avanti, ad ogni veduta di monti, di valli o torrenti mi si ripetevano in capo quei versi con la insistenza di un’idea fissa: “La Valtarese, è bel paese…”.
A me non sembravano belli, neppur i versi e tanto più non mi sembravano veri. E questo fino alla cittadina che un’immaginosa iperbole chiamò la Parigi dei nostri monti. Come chiamar belli quei monti aridi, brulli, scoscesi ed impervi; quei labirinti, cocuzzoli, promontori e precipizi che formano tutta la catena montana ai lati del Taro da Fornovo ad Ostia? Rive incolte e disabitate, pendii con rarissimi alberi, passi augusti e il Taro tortuoso e impetuoso nel corso! Ma da Ostia che è veramente l’ostium o porta di questa vastissima vallata che fu già gloriosa al tempo dei Malaspina e dei Landi, il panorama cambia radicalmente.
Cambia il panorama e si passa alle più belle esclamazioni di sorpresa e meraviglia. Già altra volta io mi ero spinto a Borgotaro, ma la mia dolce impressione fu ancora primigenia, come se per la prima volta avessi posato lo sguardo sui verdeggianti boschi di Costerbosa, alla fertile pianura di Pontolo, o ai vigneti che sembrano trasportati qui dai colli di Toscana. Poi a mano a mano che si avanza è tutto un rigurgitare di bellezze, coi due bacini in cui si allarga e si modula nelle più lievi inclinazioni questo territorio di Compiano e di Bedonia.
Dal bosco in cui mi aggiro alla falde del monte Pelpi, presso la casa degli ospiti, lo sguardo insaziabile spazia: e vede dovunque una vegetazione cupa di castagni e di faggi sui monti circostanti; vede al piano succedersi le ville e le palazzine cui fan da parco naturale gli alberi secolari intrecciati a campi erbosi e coltivi: vede là in fondo il Molinatico che fa ricordare la Cisa e l’Orsaro; e il Borgallo, il Gotra, il Pelpi, il Segalino e il Cento Croci lasciano intravedere vallata e torrenti, paeselli e campanili…
L’aria della sera è freschissima, e non mi par più d’essere d’estate. I contadini s’attardano al lavoro per la mietitura chè quest’anno è in ritardo anche quassù. Molti villeggianti tornano per le stradine più nascoste, senz’alcun senso d’ostentazione o di ricercatezza nei modi di diportarsi.
Le persone conversano tra loro e mi accorgo subito che il dialetto ha molto del ligure. Oh quante parole barbare di esso un tempo al mio orecchio! Mi fanno ricordare il dialetto chiavarese, u ciavaséi, cui assomigliano molto, e che io imparai solo dopo un anno di permanenza colà. È un dialetto che non s’impara “fito”, cioè presto, perché di tutto il ligure è il più duro e ostico.
Non si dia la colpa a me, perché fossi di testa dura: tanto che dopo imparato non l’ho dimenticato più! E mi vien quasi voglia di farmi alla finestra e d’attaccar conversazione coi passanti. Son certo che ci farei bella figura! Più dolce è invece il ligure di Ponente: di Andora, Arma di Taggia, San Remo, la Riviera fiorita, in cui ho vissuto più volte ore di sogno. I lettori di Bedonia mi perdoneranno se ho sconfinato dall’argomento. È colpa anche dell’ora che segue al tramonto e silenzioso crepuscolo della vallata di Bedonia: “L’ora che volge il desio…- e intenerisce il core!”
Ferrutius
Hanno collaborato a questo post:
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Come scivola la lettura... Leggera e nello tempo ricca di particolari... che non annoia nella retorica... ma arricchisce la mente e se chiudi gli occhi ti sembra di vedere il paesaggio... di sentire l'odore dell'erba e la freschezza dell'aria salubre...
Mi vengono in mente gli anni 60... quando dalla stazione di Brignole a Genova... con mio fratello prendevamo il treno per Chiavari e lì la corriera per Bedonia e poi quella per Bardi che al bivio per Scopolo ci avrebbe fatto scendere....
Noi adolescenti ai primi viaggi da soli... ci sentivamo grandi... ma tornavamo bambini gioiosi al richiamo della nonna che ci aspettava in una delle innumerevole curve... Ghe si?.... Ci veniva incontro per tenerci compagnia in quel kilometro e mezzo che ci separava dal paese....
Che gioia a raccontare... a guardare a 360' quel verde dalle mille sfumature... a respirare a pieni polmoni quell'aria inconfondibile... Fresca... Pura... ARIA DI CASA!
Don Ferrucio Botti parroco di Talignano mi ha battezzato. Era un uomo colto e di grande umanità, cordiale e piacevole. Quando si andava a fargli visita ti offriva immancabilmente un buon bicchiere della sua malvasia.
Ho conosciuto benissimo don Botti era il parroco del paese vicino al nostro.
Mi ricordo che da bambino sono andato mangiare anguria nel cortile della sua canonica. Mi spiegò che l'anguria "si mangia si beve e si lava la faccia". Ho ancora da qualche parte un paio di libri di storia che mi ha regalato.