
Di case ne vedo parecchie, praticamente ogni giorno, per forza di cose. Molte di queste sono disabitate, spesso da molti anni, lo si capisce immediatamente, oltrepassata la porta è l'aria dell'abbandono che ti accoglie. Non sono le ragnatele a confermarlo quanto i calendari appesi alle pareti e gli orologi fermi: "Case senza tempo".
Guardandomi intorno vengono all'occhio molti oggetti legati ai ricordi d'infanzia, a vederli lì, come se aspettassero di essere ancora usati, mi fanno sorridere dentro, hanno persino la capacità di far rivivere persone che da tempo non ci sono più: la brillantina Linetti appoggiata sul lavandino del bagno; i fiammiferi da cucina sopra al fornello con sotto la bombola del gas e il televisore coperto dal telo "copritelevisione" (allora era ancora considerato un elettrodomestico).
Quando c'è l'opportunità di entrare in queste case accade spesso di poter "ascoltare" la loro storia, sono poi gli stessi oggetti impolverati, le tendine scostate alle finestre, la biancheria che esce dai comò, i quadri sghimbesci appesi ai muri che la raccontano.
Quella di oggi mi ha rivelato che è stata l'ultima occasione dove c'è stata la possibilità di partorire in casa, era il 1975 a Ponteceno di Bedonia, da quel momento in poi sarebbero tutti nati a Borgotaro, all'ospedale. Quella bambina la chiamarono Uria, un nome, non a caso, fuori dal tempo, proprio come i ricordi conservati dentro a quelle stanze.