
Quando ritorno dal viaggio annuale in Piemonte accade l’inevitabile: ripensare ad un nuovo capitolo rivolto al viaggio sentimentale nell’Italia del vino. La ragione va ricercata tra i profumi della terra che ti restano dentro, per l’unicità dei suoi vini e per la schiettezza delle persone che fanno in modo di non essere ignorate, tanta è la loro passione e tradizione.
Ora è la stagione ideale, tempo di tartufo bianco, di nocciole, di fine vendemmia.
Andare alla scoperta dei vini di Langa, non in bottiglia, ma tra le colline, nei vigneti e nelle cantine dove si producono Dolcetto, Barbera, Barolo, è una vera emozione sensoriale.
La strada per raggiungere la nostra meta si snoda tra le vigne “gialle” con ancora appesi i grappoli di Nebbiolo, tra cantine e casali che sorgono sulla sommità delle colline, il tutto avvolto in una leggera nebbiolina che dona al paesaggio un’affascinante visione.
Poi, dietro una curva, ti appare all’improvviso la cantina, la nostra prima e inevitabile tappa. Aldilà del cancello c’è già il “grande vecchio” che ci aspetta sulla porta, con i soliti pantaloni di velluto marroni e l’espressione saggia e bonaria dell’uomo che vive la campagna.
Ci sediamo al lungo tavolo di noce, le nuove annate ormai "mature" sono già lì, pronte per essere gustate, insieme. Non c’è mai sorpresa, sono troppi i decenni che la qualità rimane immutata, anche adesso, per mano delle nuove generazioni. Sì, perché la sua è una cantina che non vuole piegarsi al mercato, alle mode, ai prezzi, alle apparenze, fa il vino come deve essere fatto, saremo poi noi a giudicarlo, anno dopo anno, decennio dopo decennio.
Poi arriva il momento degli immancabili racconti dei tempi passati, con mio fratello Carlo sono infatti molti anni che si conoscono, fin dall’annata 1967, e rimanere lì, con il bicchiere in mano e l’orecchio teso ad ascoltarli, è per me, senza dubbio, un bellissimo momento che vorrei procrastinare nel tempo. Fin quand’ero bambino sentivo parlare di lui, delle sue imprese vitivinicole, della sua scrupolosità e correttezza che quasi lo consideravo uno di casa.
Aldo Conterno, il “grande vecchio” appunto, non lo ritengo solamente un cantiniere di fama consolidata, ma una persona che ha fatto della saggezza contadina una ragione di vita e ad ascoltarlo, se pur una volta l’anno, c’è solo da imparare, in tutti i sensi.