
Trovo difficile scrivere di qualcosa che ritieni perfetto, altrettanto difficile spiegarne i motivi, le chiavi di lettura possono essere molte e personali, tuttavia ci proveṛ.
Mi fa piacere che il loro tour sia terminato nel tempio della lirica. Un omaggio alla musica di qualità. Dopo il concerto d’apertura a Milano a febbraio non potevo di certo sottrarmi a quello conclusivo, proprio perché a Parma, al Teatro Regio, ed è stato un vero peccato scoprire che questa data non abbia contemplato l’orchestra sinfonica come all’Arcimboldi, il contesto la meritava tutta.
Sul palco i Baustelle, per me il miglior gruppo italiano degli ultimi anni e il loro ultimo lavoro rappresenta una svolta di effettiva modernità, tra le poche a emergere nel panorama musicale italiano.
L’album “Fantasma” pụ essere considerato un’opera teatrale a tutti gli effetti, il mio amico “Mini” mi asseconderebbe senza dubbi, difatti i “canti” sono ripartii nei tre tempi usuali: inizio, intermezzo e finale. Un disco che non si pụ giudicare con un paio di ascolti, anzi. Sono note, parole e arrangiamenti che vanno assimilati poco alla volta, quasi fossero gocce di assenzio che portano con sé i poeti maledetti e gli artisti tormentati, anche l'atmosfera che si dipana nell’ascolto è d’altri tempi, alcuni la considererebbero “angosciante”, certamente malinconica, io la ritengo solo affascinante.
Ascoltare questa composizione mi riporta idealmente a quell'atmosfera che si respira nelle sale dei castelli in abbandono, quelle rischiarate da una debole luce, la stessa che filtra a fatica attraverso pesanti tendaggi, illuminando alcuni ritratti a olio appesi alle pareti e dove tutto intorno è immobile… uno spazio immateriale e appropriato per stravaganti presenze, dei fantasmi appunto.
Il trio composto da Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini ha realizzato un lavoro coraggioso, in controtendenza alle mode “vendaiole”, alla musica preconfezionata e subito orecchiabile.
Ho solo un dubbio, ma non so se considerarlo una critica, un “cameo” o una voluta “licenza poetica”, oltre ai rimandi allo stile di Fabrizio De Andrè, la musica e gli arrangiamenti riportano inconfondibilmente a Ennio Morricone, strumenti come armonica, nacchere e organo, oltre all’intermezzo della Soprano, sono ricorrenti in tutti i brani e personalmente mi piace considerarli un omaggio e non un'imitazione del grande Maestro.
Ad ogni modo che Dio ce li conservi, possibilmente insieme e a lungo.