Bell'articolo Gigi e mi piace quello che hai scritto.
E' la verità perchè troppo spesso ci dimentichiamo della storia del nostro paese.
Questi giovani ed ingenui soldati partiti per la 1^ Grande Guerra solo per difendere la propria patria. In questo triste anniversario (1914/2015) il gruppo alpini di Bedonia ha pensato di dedicare a loro un calendario per non dimenticare.
Un grazie va alla tua preziosa collaborazione e a quella di Emanuele Mazzadi.
La presentazione ovviamente è aperta a tutti.
Credo che quella del calendario sia stata un' ottima idea e tante saranno le persone che lo apprezzeranno sicuramente con commozione. Solo leggendo il tuo articolo caro GG a me sono venuti i brividi.
E’ il 4 ottobre del 2007, quando io e l’amico Renato Cattaneo decidemmo di partire per Caporetto… Era un viaggio che ci incuriosiva molto, soprattutto perché mio nonno Eligio Manfredini è stato il primo caduto del comune di Bedonia, colpito da una granata a Santa Lucia di Tolmino, qualche mese dopo lo scoppio della guerra ( 9 settembre 1915 ) e suo zio “ Angelen “, di Varese Ligure, ha combattuto sull’altipiano della Bainsizza, dove era rimasto ferito.
Anche un mio alunno, Jacopo, mi aveva raccontato di suo bisnonno che proprio a Santa Lucia di Tolmino era stato colpito in modo grave alla gamba destra che poi gli sarà amputata…
Giunti a Caporetto saliamo a piedi fino al “ sacrario “, ma di mio nonno Eligio nessuna traccia. Il responsabile del Museo sulla Grande guerra ci dirà poi che tutti i caduti dell’alto Isonzo erano stati lì tumulati, e sicuramente lui era fra i 1748 militi ignoti.
Proprio al Museo, abbiamo vissuto un momento particolarmente commovente. E’ il caso di dire che qui le immagini sono più crudeli dell’immaginazione. Foto di volti deformati dai gas asfissianti, lanciati sulle nostre truppe a Plezzo e alcuni filmati hanno attirato la nostra attenzione: un vero massacro di uomini, per non dire ragazzi, mandati allo sbaraglio. A quelle immagini Renato si è commosso e qualche lacrima ha rigato il suo volto. Anch’io non ero da meno… Ancora, nel ricordo, ripercorro mentalmente i momenti di quel nostro viaggio e mi rendo conto di provare le stesse strazianti emozioni.
P.s.
Nel video allegato vi è il contenuto di una lettera trovata in tasca ad un Alpino deceduto e che si può ascoltare al Museo della prima Guerra Mondiale di Caporetto.
Ciao Gigi.. volevo solo dire che non basta un calendario di un anno per raccontare gli orrori, le pene, la miseria, la fame, le umiliazioni, i soprusi, le angherie, il sangue di tutti i militari che hanno partecipato alla Grande Guerra. Guerra fatta dai contadini e solo dai contadini... perchè gli operai servivano in fabbrica per contribuire alla produzione.... contadini e commercianti.... ma il discorso diventa lungo ma ora il dovere è uno solo non dimenticarli ma il messaggio è MAI PIU' GUERRA. mai più........ nevere more.....
Soldati
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
San martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti che mi corrispondevano
non è rimasto neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato.
Di Giuseppe Ungaretti Poeta e soldato che partecipò alla Guerra.
Nelle sere di firò-si, gli uomini della mia famiglia ci raccontavano la 'loro'guerra e i miei nonni, Giuseppe detto Pinòn e Giacomo chiamato Jacu (classe 1879), erano soldati sul monte Grappa.
Quest'ultimo ricordava sempre, che nella 'sua' guerra un giorno era caduta una granata che non aveva fatto vittima se non il braccio di una statua della Madonna.... e quando lui fumava il suo sigaro, lo girava verso l'interno della bocca, per non palesare la sua presenza al nemico con la brace accesa.
Mi parlava anche della fame patita e delle grandi distese di cipolle: -òhime, j'èrena cussò bòn-ne e i manjèumu crùde, cumme i fìssena pumme....
Tra i caduti di Bedonia, alcuni sono i miei paesani di Scopolo che sono tumolati a Caporetto. Entrambi i miei nonni, hanno avuto la fortuna di tornare e Jacu, anche di invecchiare: se n'è andato a 100 anni e 1 mese, senza aver visto mai l'ospedale. Pensare che era stato battezzato in fretta e furia perché temevano morisse dato che aveva la pellagra! Da piccolo si era poi punto col filo di ferro di una 'bèna' e sua madre gli aveva curato la ferita con la polvere di tarli...
Grazie Gigi, per aver ricordato e dato modo di parlarne, quelli che purtroppo, non sono più tornati...
IN ONORE DEI CADUTI DI TUTTE LE GUERRE:
Leggenda della penna dell'alpino.
Tanti anni fa, in tempo di guerra, un giovanissimo alpino si perde in alta montagna e vinto dalla stanchezza e dal freddo, si addormenta sul ghiaccio. Mentre una tormenta di neve lo copre, lui sogna l'abbraccio della mamma e il focolare della sua casa, sentendosi coperto da un angelo. Ad un tratto si sveglia di botto e trovandosi una penna sulle gambe, piangendo corre a mostrarla ai suoi commilitoni che alla vista, si inginocchiano a pregare.
Da allora, l'alpino porta nel suo cappello una penna, a simboleggiare il desiderio di unione e di PACE.
IL NOSTRO CAPPELLO
"Sapete cos'è un cappello alpino?"
E' il nostro sudore che l'ha bagnato
e le lacrime che gli occhi piangevano
e tu dicevi "nebbia schifa"
Polvere di strade, sole di estati,
di pioggia e fango di terre balorde,
gli hanno dato il colore.
Neve e vento e freddo di notti infinite,
pesi di zaini e sacchi, colpi d'armi
e impronte di sassi,
gli hanno dato la forma.
Un cappello così hanno messo sulle croci dei morti,
sepolti nella terra scura,
lo hanno baciato i moribondi
come baciavano la mamma,
l'hanno tenuto come una bandiera
lo hanno portato sempre.
Insegna nel combattimento
e guanciale per la notte,
vangelo per i giuramenti
e coppa per la sete.
Amore per il cuore e canzone del dolore.
PER L'ALPINO IL SUO CAPPELLO E' TUTTO.
Grazie a Gigi,agli Alpini e Voi tutti che avete collaborato al calendario per il 2015.
Quanti ricordi scateneranno, e gia' scatenano anche in me ed ora, le fotografie di quei volti che sembrano dirci: "Non scordatevi di noi".
Noi nipoti, quando si era ancora piccoli, salivamo sulle ginocchia del nonno Vittorio e lo accarezzavamo in fronte per cercare l'infossatura lasciatagli dalla scheggia di proiettile presa sull'Ortigara: allora iniziavano i racconti del nonno, su Francesco Baracca e i duelli aerei, sul "Ta-pum" assordante del nemico, sulla parabola dei proiettili indirizzati dal capo pezzo, o su suo fratello Carlo, in trincea con la polmonite, a diciannove anni... e sulla "Spina nel cuore" della "Margaritta de' Caccian", sua madre, per quel figlio tanto giovane rapito dal destino crudele.
Per noi piccoli, quel diciannovenne prozio è stato (è) il nostro "Eroe", ma fonte di dolore e di rimpianto, nell'immaginario famigliare...
Per tre anni e tre terribili inverni la Grande Guerra scaraventa migliaia di uomini sul fronte che dallo Stelvio e dall’Ortles scende verso l’Adamello, le Dolomiti, Il Pasubio e Asiago.
In quegli anni di fuoco, su 640 chilometri di ghiacciai, creste, cenge, altipiani e brevi tratti di pianura cadono circa 180.000 soldati. Le Alpi diventano un immenso cimitero a cielo aperto, sfigurate da una devastante architettura di guerra che scava strade e camminamenti, costruisce città di roccia, legno e vertigine, addomestica le pareti a strapiombo e spiana le punte delle montagne. Alpini e soldati del Kaiser si affrontano divisi tra l’odio imposto dalla guerra e l’istinto umano di darsi una mano, invece di spararsi, per far fronte alla tormenta e alla neve.
Si ingaggiano piccole battaglie anche a tremilaseicento metri, ma la vera sfida è sempre quella di resistere per rivedere l’alba, la primavera, la fine della guerra, prima che la morte bianca si porti via le dita di un piede, o la valanga si prenda un compagno. Intanto, l’isolamento, il freddo, i dislivelli bestiali, le frane, le valanghe, la vita da trogloditi, la coabitazione tra soli uomini producono risposte sorprendenti, insolite collaborazioni umane, geniali rimedi di sopravvivenza e adattamento.
Oggi l’aria è chiara e fine
E i monti son cupi e tersi,
poveri anni persi…
Carlo Stuparich (combattente sul Monte Cengio)
I morti è meglio che non vedano quel che son capaci di fare i vivi, e la strada storta che sta prendendo il mondo.
E’ meglio che non si accorgano nemmeno che noi siamo diventati così poveri e tanto miseri che non siamo capaci di volerci bene.
No, è meglio che i morti stiano nella neve e nel ghiaccio, e che non sappiano di noi; altrimenti potrebbero pensare di essere morti invano, e allora si sentirebbero ancora più soli.
Gian Maria Bonaldi (combattente sull’Adamello)
L’errore in cui sono incorsi molti commentatori di guerra. L’ostacolo in cui inciampano i lettori, è considerare i combattenti come una generazione compatta e omogenea di disgraziati o prescelti senza rendere conto delle differenze. Soldati e ufficiali dei due fronti erano certamente figli di un clima politico e di una congiuntura storica – l’ultimo atto del Risorgimento italiano, la formazione di un giovane Stato, il tramonto di un vecchio impero -, ma provenivano da mondi geograficamente e culturalmente lontanissimi, e interpretavano in modi differenti la chiamata alla guerra. Hi partiva per salvare la Patria, chi se stesso, chi né l’una né l’altro, eppure non aveva il coraggio di disubbidire. Crednti di fede religiosa, combattenti di fede nazionalistica, ragazzi senza fede, esaltati, generosi, miti, traditori, vigliacchi, eroi, disincantati, montanari, cittadini, contadini, figli della terra e figli di papà; è un esercito di diversi quello che sale verso le Alpi senza sapere neanche perché va a morire, come scrive il valdese Piero Jahier, poeta degli alpini. L’unica certezza che li accomuna è il dato anagrafico, vent’anni o giù di lì, e sono gli anni dell’inesperienza e dell’attesa, un tà in cui si può credere e sperare in qualunque cosa fuorchè le fine delle cose.
Non è retorico affermare che la guerra d’alta montagna mitigò l’atroce anonimato della guerra di trincea, dove si uccideva senza incontrare uno sguardo, un nome, una voce, Nella spaventose fosse delle pianure e degli altopiani la battaglia era una roulette russa e i soldati bersagli senza volto. Non sulle creste e sulle pareti della Alpi, dove i soldati montanari condivisero qualcosa di più sodale della pallottole, come osserva Mario Isnenghi esplorando il mito della Grande Guerra: i battaglioni e i reggimenti alpini sorgono su un fondo di tradizione e sentimenti comuni, relazioni di parentela e di conoscenza sopra cui matura uno spirito di corpo robusto e durevole come nessun’altra arma di fanteria… si combattè “senza odio e senza speranza”, con il proverbiale fatalismo dei montanari, soffrendo e cantando, bestemmiando e pregando, cercando di non farsi e non fare troppo male.
Venerdì 15 dicembre 1916, il “venerdì biaco” di guerra, muoiono sul fronte alpino diecimila soldati. Sulla Marmolada una valanga travolge 500 uomini e 300 soffocano sotto la neve. La Strada delle Dolomiti viene interrotta da un’enorme valanga e per riaprirla gli lpini devono scavare una trincea alta più di quindici metri.
All’imbocco della galleria Casteletto (Tofane) c’è una targa, straziante scritta da un anonimo.
Tutti avevano la faccia del Cristo
Nella livida aureola dell’elmetto.
Tutti portavano l’insegna del supplizio
Nella croce della baionetta.
E nelle tasche il pane dell’ultima cena
E nella gola il pianto dell’ultimo addio.
Caro Ergastolano, ho letto con interesse quanto hai scritto nei post n. 9 e 10 ma non sono farina del tuo sacco.
Bastava, come è giusto che sia, che tu citassi le fonti o che incollassi il link.
Credo che lo imponga la correttezza e la disciplina di questo blog.
Te lo dico senza alcun rancore e con la massima serenità.
Presentazione del Calendario 2015, in memoria della Prima Guerra Mondiale, “Grande Guerra”:
È stato il tempo il fattore che ha determinato quel profondo cambiamento nelle menti e nei cuori degli uomini che erano partiti per la guerra convinti di restarci poche settimane e si sono trovati per cinque lunghi anni nell’orrore della trincea e della morte.
La memoria della Grande Guerra ci viene oggi restituita, con estrema vividezza e precisione, attraverso le molte opere letterarie, i memoriali e i diari che sono rimasti, in assenza di testimoni ancora in vita, gli unici strumenti in grado di raccontarci il momento che cambiò la storia e le sorti del mondo che oggi conosciamo.
Il nostro calendario, un piccolo modesto, ma per noi Alpini di Bedonia significativo e importante contributo, alla memoria, al ricordo di quelle giovani vite spezzate per un ideale di libertà, di democrazia e soprattutto per un valore importante allora come oggi: La difesa del suolo Patrio.
Per approfondire la conoscenza del conflitto che ha cambiato il corso della nostra storia, nel centenario della 1° guerra mondiale, la “Grande Guerra” con 17 milioni di morti tra militari e civili e 20 milioni tra feriti e mutilati permanenti, anche dalle nostre montagne, per la maggior parte nelle truppe Alpine, il contributo in giovani vite spezzate nel fiore della gioventù, e in sangue versato è stato rilevante.
132 i caduti nel Comune di Bedonia, 41 in quello di Tornolo e 21 a Compiano, tutti ragazzi di vent’anni, partiti con l’intento di difendere la loro Patria dall’invasore austriaco e mai più tornati.
Un calendario per non dimenticare, una Guerra fatta per la maggior parte da gente semplice: contadini, artigiani, commercianti, ma non per ricordare gli orrori di questa Guerra di trincea, la prima Guerra tecnologica, con armi di nuova invenzione: aerei, cannoni, carri armati, mitragliatrici e gas nervini.
Un calendario non per raccontare gli orrori, le pene, la miseria, la fame, le umiliazioni, i soprusi, le angherie, il sangue di tutti i militari che hanno partecipato alla Grande Guerra.
Ma dal calendario traspare, leggendo le lettere e le cartoline militari dei nostri bisnonni, spedite dal fronte, e sfogliando le fotografie con visi "sorridenti e spensierati”, osservando i loro effetti personali e militari, come quelli nella cassetta di legno del mio bisnonno Giuseppe Longinotti, nato a Isola di Tornolo il 12 Settembre 1889 Alpino del 4° Reggimento, si riesce a cogliere la loro speranza di continuare a credere in un mondo migliore, nonostante le brutture della Guerra.
La triste verità delle menzogne, raccontate a fin di bene ai propri cari per non farli preoccupare, quasi come se fosse una Guerra senza cannonate, trincee e assalti mortali alla baionetta.
E’ con questo spirito di speranza in un futuro più buono, senza più Guerre, il sentimento che ha portato il Gruppo Alpini di Bedonia, a restituire il giusto ONORE e la giusta memoria di questi nostri fratelli, che hanno sacrificato la loro vita per costruire una Patria migliore.
Termino il mio intervento riportando la citazione della prima pagina del calendario:
“Loro non invecchieranno, come noi lasciati a invecchiare, la vecchiaia non li logorerà, né gli anni li condanneranno. Al calar del sole e al mattino, noi li ricorderemo.”
Art. Alpino Brigata Julia e Consigliere C.D.S. Alta Val Taro-Ceno
Franco Leonardi
Carissimo Gigi, vedi un po' se puoi riallacciarti a "12 mesi per raccontare una guerra".
Si tratta di vedere un video appena uscito che va ben oltre uno Spot e che commuove.
1914: Natale in trincea su fatti realmente accaduti tra Inglesi e Tedeschi sulla trincea di quell'anno.
Christmas eve 1914.
Potresti inserirlo o farne un semplice momento di straordinaria sensibilità.
Ciao. Arturo
Grazie Arturo per il suggerimento, provvedo subito a linkare lo spot.
Posso anche aggiungere che il Presidende ANA di Parma Mauro Azzi, durante la presentazione del calendario, ha proprio citato questo spot come momento storico legato alla grande guerra:
E’ la notte di Natale del 1914. Sul fronte della prima guerra mondiale, gli eserciti di due paesi si guardano dalle rispettive trincee, a poche centinaia di metri di distanza l’una dall’altra. Poi un soldato tedesco comincia a cantare “Stille Nacht”, la più famosa canzone natalizia, dalla trincea opposta un soldato inglese risponde cantando “Silent night” e poco per volta i nemici escono all’aperto, con le mani alzate, e si abbracciano. E’ un momento passato alla storia: il breve armistizio di Natale, che interruppe per qualche ora il conflitto, portando i nemici a condividere il rancio, a scambiare foto e perfino a giocare una partita a pallone, prima di riprendere, il giorno dopo, a spararsi e a uccidersi in quella che è stata poi chiamata la Grande Guerra, grande se non altro per lo spaventoso numero di vittime che ha fatto.
SabinaZ
10/11/2014Anche il mio caro nonno Arturo è morto durante la prima guerra mondiale, aveva 21 anni e a casa ha lasciato una moglie, un figlio, i genitori insieme a 5 fratelli.
Da un documento in nostro possesso risulta morto in campo di prigionia di Weilerh in Austria. Tutta la mia famiglia ha avuto il rimpianto di non aver mai avuto la possibilità di portare un fiore alla sua tomba. Grazie per conservare la memoria e cordiali saluti.