La simpaticissima suor Luisa faceva anche ottime creme e unguenti paramedicinali. C'era anche una superiora molto aristocratica nei modi di cui non ricordo il nome. E ovviamente l'indimenticabile suor Angelica. Inoltre, le suore avevano una piccola biblioteca di cui ero utente, prima di passare a "Il corsaro nero" di Salgari e a "I tre moschettieri" di Dumas.
Quanto al Carnevale, mi pare che c'erano anche quelli si mascheravano con vecchie lenzuole e se non sbaglio erano chiamati con disprezzo sabbioni.
Mi pare che si facevano feste da ballo anche in qualche locale della Banca. Una volta i miei non andarono al ballo, perché mia sorella era malata. Verso mezzanotte, fummo svegliati da una fisarmonica che suonava nelle nostre scale. Allora non si chiudevano le porte a chiave e poi eravano proprio di fronte alla caserma dei carabinieri di allora. Era un'allegra combricola, guidata da Giacomino Pizzi e dalla Cecchina del Moretto, che voleva far festa. Non ricordo le chiacchere di suor Luisa, ma i favolosi cannellotti di Biasotti quelli sì.
Peppino Serpagli - Milano
Senza nulla togliere agli altri contributi, sempre preziosi, devo assolutamente fare i complimenti alla Sig.ra Dolores per la vivezza con cui ha raccontato quel lontano e quasi "epico" martedì grasso, che ci avvince e anche ci garantisce di come quel giorno fu autenticamente e intensamente VISSUTO!
Non è un caso che, leggendo, mi sia venuta in mente "I föghi de Carnevê", secondo me la più bella e poetica canzone del nostro Arturo...
Che differenza abissale con le moderne abbuffate di immagini fotografiche e altre diavolerie tecnologiche con cui si riempie (ma, in realtà, si svuota) qualsiasi avvenimento che dovrebbe essere significativo!
Parrebbe quasi che "ai bei tempi" la gente fosse fatta di un'altra pasta, più soda e sana, più felice ed immediata. Ma la verità è che certe dimensioni basta volerle ritrovare: buon Carnevale, dunque, a chi ne sarà in grado, tanto quest'anno (tempo permettendo) come per quelli a venire!
Sono onorata di quanto ha scritto Piero, lo conosco di 'nome', come anche Peppino, Gigi, Remo e molti ancora, che con la vostra 'penna magica', sapete portarci lontano.... Io sono ben piccola cosa, ma scrivo con amore. Grazie
Bellissimi questi racconti di vita vissuta, era tutto bellissimo come vorrei che fosse tutto come allora, grazie!!!! Sono Daniela Farchioni
Ciao a tutti,
ciao anche a Daniela, non credevo che anche tu leggessi esvaso..sei un po' fuori zona dal'alta Val Ceno e Taro..Anche io come Dolores ho passato qualche carnevale sui nostri monti prima di andare a vivere a Cremona con la mia famiglia e ora a Bologna.
Quello che ricordo con piu' nostalgia e' stato il carnevale del 1963
ai Pilati dai nonni. La mamma mi aveva cucito un abitino da fatina e per mio fratello Silvano uno da paggetto.Come dice Dolores erano le mamme o le zie a preparare i costumi ..Mica si andava a comprarli. Con le gemelle Luciana e Renata vestite da orsetti e Paolo mio cugino da corsaro ,abbiamo girato il paese nella neve ,,quasi scalzi ma tanto felici perche in ogni casa dove entavamo ci davano le 'fruttule' e qualche caramella che per noi era oro.Ci tiravamo un sacco di coriandoli (anche quelli fatti in casa con i ritagli dei pochi giornali che avevamo) a volte anche in bocca ,le risete che facevamo e ogni scherzo era permesso ..anche rospetti nella schiena o lucertoline nei pantaloni..colla nei capelli e via andare.Ora se si facesse una cosa del genere ci metterebbero al carcere minorile come bande di piccoli criminali..
Ma noi ci divertivamo tantissimo e non portavamo rancore con nessuno..si faceva tutto per scherzo ,e chi piu' ne sapeva piu' ne faceva. Il giorno dopo eravamo amici piu di prima e lo siamo ancora ..per fortuna .Non ci fermava il freddo ,la neve , i geloni ai piedi.bastava la voglia di stare insieme e di divertirsi con poco.Oggi si ha molto e non ci diverte niente...Siamo proprio cambiati.
Buon carnevale a tutti..
Graziella.
Certo che mi ricordo, si facevano in casa nostra e mia mamma ci cuciva ogni anno bellissimi costumi carnevaleschi, eravamo i soli negli anni quaranta e la Memi ci accompagnava a visite brevi in casa di amici
Dolores
24/02/2017A 'quei tempi', degli anni '50, le nostre mamme incominciavano a osare il trasformismo anche se maritate e una volta, mia mamma con mia zia Maria, dirimpettaie, dopo una giornata di lavoro pesantissimo, come sempre e come per tutte le donne del paese, decisero di vestirsi in maschera. Mia zia più alta: da uomo col vestito della festa di zio Mino e mia mamma più minuta e rotondetta da donna. La loro coppia a guardarla, sembrava: il campanile e la chiesa!
Fuori la neve era caduta copiosa e 'l'arutta' era sparita ormai, ma contente 'come Pasque', avevano 'squarsato' la neve lungo 'il strigà'dei Pariotti, giù fino alla chiesa, dove vicino abitavano i miei nonni Lino e Ida, per farsi vedere! Era la prima tappa, prima di arrivare ai Pilati, sotto la neve che scendeva ancora e i fiocchi sembravano 'lensurèn'.... E su e su... la zia più alta precedeva mia madre che si trovava già pronte le orme, ma piano piano doveva alzare sempre più le gambe per entrare nella sagoma creata da zia...
Quasi due chilometri da Scopolo, zuppe fino all'osso entrarono nella casa di Giuseppèn e la Meghina, che accolsero la figlia e mia madre con affetto ed entusiasmo, offrendo loro 'è frittule de castagnassu' (frittelle di farina di castagne) e qualcosa di caldo. Tornarono coperte di neve, 'cou pichettu ai pè' (diavolini-geloni) e stanche morte, ma felici come non mai!
Non erano ancora a letto e già pensavano al giorno dopo quando avrebbero preparato per me, Walter e Claudio, le chiacchiere e 'u zambajòn' da offrire anche ai nostri amichetti.
Nel pomeriggio saremmo andati tutti insieme in maschera: casa per casa: dai Galli ai Franchi, al Lavorè e su su agli Zucconi fino ai Pilati a raggiungere altri amici, su su, strombettando allegramente, con le nostre lingue di menelicche...
Quel giorno eravamo partiti in 15 dalla nostra scuola 'àra Pian.na' coi nostri costumi riciclati e riadattati dagli abiti smessi dai 'nòsi' (genitori). Io ero vestita da Gianduia coi pantaloni alla svuava e una bandana mi copriva la mia lunga treccina, ma nonostante i baffi disegnati con 'un stopòn brùzà' (tappo bruciato), non avevo assolutamente voluto rinunciare ai miei nuovi 'pendèn' (orecchini), quindi, pur sentendomi ingenuamente irriconoscibile, quando mi trovai davanti la 'Sterèn.na du Lavurè' che esclamò: Oh, vàrda a mè Dulore! Sarei scoppiata a piangere per la delusione!
Le mie guanciotte già rosse diventarono bordò per la rabbia così la sfogai facendo la spia a tutti: E alùra custu l'è lù.... custa l'è lè... E avendo 'u beccu' (broncio), non accettai le invitanti chiacchiere fritte che sembravano 'gassette' (ciocche) e riprendemmo il cammino lungo l'irto sentiero nel bosco innevato, verso i Zucconi. Non ricordo rappresaglie da parte dei miei amichetti, ma fiera di me stessa, come una bersagliera, pur con la neve alta, 'feci strada' a tutti, anche se ero la più piccola e alta un soldo di cacio....