58 - 25 Novembre 2020
A tartufi con Sergio, Furia e Balù
Nei boschi autunnali della Val Taro per un'esperienza emozionale e sensoriale
L'appuntamento è per le nove di domenica mattina. Sono convinto che Sergio mi abbia benevolmente concesso questo orario, diciamo "comodo". Finito il gorgoglio della caffettiera, partiamo.
Prima la radura e poi bosco ci accoglie in tutta la sua bellezza autunnale: l'erba è bagnata dalla rugiada, le foglie si differenziano tra il giallo e il rosso e il cielo compare a fatica, fin quando la bianca foschia notturna svanisce. Dal portellone del fuoristrada balzano fuori Furia e Balù, i suoi fedeli ed affezionati Lagotti, i quali, scodinzolanti, temporeggiano in attesa della direzione da prendere. Furia ha sette anni ed è la mamma di Balù.
Anche Sergio è pronto: con due dita si liscia i baffi, accende l'immancabile Toscano* e riempie le tasche di biscottini o meglio, le "ricompense" per i due veri cercatori. Scelto il sentiero, quello che costeggia il rio, entriamo nel bosco e ad accoglierci un'abbondante "nevicata" di foglie, una sorta di benvenuto per quel luogo fiabesco che è la "Terra dei Tartufi", anzi del "Nero Uncinato". La varietà che cresce in questa stagione in Valtaro.
Comprendo subito che conosce il bosco come le sue tasche, così mi accodo a quelle gambe sicure e ai due nasi esperti che girovagano tra noccioli, carpini e cerri. Non passano cinque minuti che Furia e Balù sono già lì a raspare tra le foglie, il loro padrone fa poi il resto: "Guarda che bello, cominciamo bene". Così la mano si infila in tasca per estrarre il primo premio della giornata. I due cagnolini, felici e scodinzolanti, incassano l'agognata ricompensa, dopodiché ripartono, tra alberi e fossi, per guadagnarsi quella successiva. È bellissimo vedere i due "riccioloni" correre in avanti, fermarsi, annusare e poi tornare indietro, a volte con il "bottino" in bocca, ma senza perdere mai di vista il loro padrone: "Per loro trovare il tartufo è un gioco gratificante quanto lo è per me".
Sergio, dopo aver cavato il tartufo, ricopre la buca con cura, il motivo è doppio: evitare che altri cercatori possano individuare il luogo e garantire così ai funghi di riformarsi nella stagione successiva. Questo fungo ipogeo, infatti, si lega alle radici delle piante tartufigene stabilendo con esse un rapporto simbiotico e durevole nel tempo, un po' come accade tra il padrone e il suo cane.
Le ore passano e a mano a mano le tasche del gilet cambiano funzione: diminuiscono le crocchette e aumentano le profumate pepite. A mezzogiorno, dopo aver tolto la terra in eccesso, ne conta una ventina, in pratica mezzo chilo, tra cui un paio di pezzi di "Nero liscio".
L'esperienza maturata sul campo è fondamentale, ma è un risultato che va oltre al valore economico in sé. Senza fare i conti in tasca a Sergio, ci vuole poco a capire cosa lo spinge a trascorrere così tanto tempo nei boschi: la vera passione di vivere la natura e soprattutto il legame indissolubile che ha instaurato con i suoi cani, tanto da ricordare una sorta di squadra affiatata: "Ho quattro figli, ma due sono questi qui", me lo dice accarezzando Furia e Balù con le mani ancora sporche di terra.
* Il sigaro, durante la presenza nel bosco, era spento; è rimasto acceso solo per esigenza scenografica.
Eleonora Rizzardi
25/11/2020Meraviglioso questo racconto, ho nostalgia dei vostri luoghi, degli amici e .... di due taglierini al tartufo!