58 - 08 Giugno 2022
Le panchine dei turisti
Le famose panchine bianche di graniglia sono divenute ormai un simbolo di quello che eravamo
Negli ultimi tempi mi sto rifugiando, sempre con più piacere, nelle storie dedicate al nostro passato. Questa volta, per raccontare alcune località della nostra Alta Val Taro, andrò a Sant'Ilario d'Enza, nel reggiano. Lì c'era un'azienda collegata con alcuni dei nostri paesi e delle nostre frazioni. A quel tempo, la ditta si chiamava "A. Piccinini" -quella “A” stava per Alberto, il suo titolare- e produceva panchine in graniglia di marmo, quelle tipicamente bianche e dalla linea robusta, sinuosa ed elegante.
Manufatti che, fino a qualche decennio fa, erano presenti a centinaia su quasi tutto il nostro territorio (a Bedonia, nei primi anni ‘60, furono avvicendate a quelle rosse in legno), mentre oggi quelle panchine sono davvero poche. Certo, gli esemplari superstiti resistono, ormai da una sessantina d'anni, perfettamente conservati e accolgono ancora le chiacchiere delle persone o i segreti delle coppiette. Se ne possono ancora notare a Bedonia in viale Europa, nel parco del Seminario e nelle frazioni di Libbia, Alpe, Drusco, Anzola, Masanti di Sotto, Revoleto; a Cereseto e Isola di Compiano; a Pieve di Gusaliggio di Valmozzola; in comune di Tornolo a Casale, ma soprattutto a Tarsogno, dove ne sono sopravvissute ben 25, e quasi tutte in ottime condizioni di mantenimento (vedi foto allegate).
Preso da curiosità, ho iniziato a fare approfondimenti sulla ditta produttrice, partendo proprio dalla targhetta posta sullo schienale di una delle due panchine presenti in viale Europa a Bedonia: "A. PICCININI – S. ILARIO D'ENZA R.E. – TEL. 41 – BREV. 33.415".
Sono così arrivato all'attuale azienda, oggi denominata Super Blok Piccinini e alla sua proprietaria Ines Patterlini -nonché nipote del Cavalier Alberto Piccinini- che, con bonomia ed efficienza tipicamente emiliane, mi ha raccontato la storia imprenditoriale del suo nonno materno, e quindi della loro e nostra "panchina”.
Il capo famiglia Alberto Piccinini, classe 1881, emigrò in Svizzera, a Basilea, facendo il lavoro di "cementore". Qualche tempo dopo ritornò in Italia, si mise in proprio e nel 1921 aprì un piccolo laboratorio artigianale per la produzione di articoli in cemento: pali per vigne, tubi, colonne, vasi e ringhiere.
Per migliorare la produzione pensò di mandare in Francia i figli Libero, Ulderico e Dante a perfezionarsi come apprendisti. Libero fu poi assunto dalla ditta italo-francesce "Renzi", azienda che produceva i classici vespasiani, quelli sparsi su tutto il territorio francese, diventandone in seguito socio di maggioranza. Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il figlio di Libero, Edoardo -giovane intelligente, estroverso e laureato in ingegneria- progettò un modello di panchina in graniglia di marmo, ferro e cemento, con una forma solida, moderna ed ergonomica, tant'è che venne prontamente commercializzata con grande successo, sia in Francia che in Svizzera.
Il progetto fu allora suggerito anche alla famiglia di origine di Sant'Ilario d'Enza, offerta che venne prontamente colta: e nel 1953 iniziarono la fortunata produzione anche in Italia. Con grande capacità commerciale, i figli del Cav. Piccinini la proposero immediatamente alle Amministrazioni Comunali delle provincie di Parma e di Reggio Emilia -su alcuni esemplari vi è una seconda targhetta che riporta la committenza Ente Provinciale per il Turismo- ed anche in questo caso le vendite si affermarono senza tanti ostacoli.
Così, per mettersi al riparo dalle imitazioni, la famiglia Piccinini pensò di brevettarla, e nel 1965 depositarono il progetto di "Panchina Funzionale Piccinini". Ed è da quel momento che iniziarono a commercializzarla su tutto il territorio nazionale: sono infatti parecchi i viali alberati, lungomare o lungolago di rinomate località turistiche italiane che ospitano, ancora oggi, questi bellissimi esemplari. Esemplari che sono segno, oltre che di bellezza, di salvaguardia delle finanze pubbliche, poiché, dopo oltre sessant’anni di intemperie, assolvono ancora -e senza bisogno di tanta manutenzione- la loro funzione.
Ora andiamo a Bedonia, ai giorni nostri: queste panchine bianche, assieme a quelle rosse, sono oggi una sorta di simbolo della "bedoniesità": intendendo con questo termine il fenomeno iniziato proprio negli anni '50 e '60, quando Bedonia era considerata la località turistica più in voga della provincia di Parma, tanto da essere definita "la Svizzera parmense", così come recitava Attilio Bertolucci nel suo filmato Strada per l’Appennino.
Uno stimolo va quindi all'Amministrazione bedoniese a considerare questo arredo urbano come un bene di significato e da salvaguardare; mentre, se vi fossero altri esemplari, magari “parcheggiati” in qualche deposito, l'invito è a ricollocarle nuovamente per le vie del paese e nelle sue frazioni.
E, naturalmente, approfitto dell’argomento per caldeggiare anche una miglior conservazione delle poche panchine rosse di legno rimaste (di queste non sono riuscito a risalire alle origini), visto che negli ultimi anni non sono state ritirate dalle strade durante i mesi invernali (come è sempre accaduto): un’accortezza che, fino adesso, è risultata provvidenziale per averle ancora tra noi e poterle considerare, a tutti gli effetti, un caro ed affettuoso patrimonio sentimentale dei Bedoniesi.
Antonio
08/06/2022Qualcuno sa se c'è ancora il tabellone nero della festa della trota che si vede nella foto ? Una domanda fuori tema lo so ma è sempre un pezzo della nostra Bedonia