Il cuore nero dell'Appennino

Una passeggiata con il tartufaio e il suo cane fra i boschi della Val Taro in cerca del Tartufo Nero Invernale
Se non fosse per il termometro appena sopra lo zero parrebbe già primavera: “Ci proviamo, ma l’abbiamo tirata troppo lunga… urmèi sémma föra stagión". Paolino mi accoglie così, in questa domenica di metà gennaio, non proprio il periodo adatto alla raccolta del tartufo, ma il desiderio era forte, così sono stata ugualmente accontentata.
Abbiamo deciso di sfidare la stagione, il bosco resta comunque un luogo magico, fiabesco, disseminato da grandi rocce, piccoli ruscelli, cascatelle e vecchi alberi che diventano per i tartufai fedeli e segrete "geolocalizzazioni". Il loro è un ufficio a cielo aperto, in stagione si esce con costanza, il telefono squilla, le foto sui social "parlano" e i palati gourmet fremono per avere quanto prima il "Cuore nero dell’Appennino".

Il vero protagonista della giornata è stato il cane, in questo caso Black, un tonico ed esuberante Bracco Kurzhaar di tre anni. È lui che ci detta il passo, spostandosi fra gli alberi -o meglio tra böcchi e masére, così chiamano in dialetto questi intralci di percorso- annusando la base dei tronchi, finché non rimane attratto da un inequivocabile profumo, momento in cui inizia a scalzare la terra per attirare l’attenzione del suo padrone, che puntualmente arriva con la zappetta per smuovere il terreno e tirare fuori il tartufo con le mani… assieme alla puntuale "ricompensa" per il cane che attende tutto concitato.

È in momenti come questi, ricchi di soddisfazione, che Paolino racconta con orgoglio i progressi del suo fedele compagno, lo scodinzolante Black: dalla costanza dell’addestramento al fiuto divenuto davvero acuto. Mai avrei pensato di vedere tra loro una tale sinergia, continua e costante: scorrazzate apparentemente senza meta diventano inequivocabilmente direzionali appena un timido sentore solleva l'interesse del cane, così naso e orecchie si confondono tra le foglie, segue poi la potente "raspata"… per me emozionante… e poi il richiamo deciso del padrone e la ferma immediata del cane, a dimostrazione di quanto l’olfatto canino sia inconfutabile, oggi più che mai, vista la scarsità del periodo.

Paolino mi parla poi di questa sua passione, se pur praticata nel poco tempo libero, nata qualche anno fa grazie al figlio Andrea e alla moglie Gabriella, e dal legame con i suoi amati animali, tutti allevati a “Crocchette e Tartufo”, così come l'altra sua cagnolina Lilly -una Jack Russell tutta casa e divano- che ama scavare tra i noccioli per scovare le profumate "pepite" nere: "Con uno o con l'altra, usciamo da fine estate ad autunno inoltrato, anche se negli ultimi anni è diventata una vera e propria 'Caccia al Tartufo', tant'è che capita spesso di trovare tra i sentieri decine di tartufai… c'è chi arriva anche da Savona… e pensare che quand'ero giovane dicevano di sgridare i cani quando portavano a casa queste "odoranti palline nere”.

Che sia nero, bianco, estivo, invernale, pregiato, liscio o rugoso, il tartufo è diventato, senza alcun dubbio, un prodotto principe nel panorama gastronomico di valle. Un fungo ipogeo che qui si raccoglie tra frassini, cerri e noccioli, sempre se la stagionalità è benevola, come si può immaginare temperatura e piovosità ne influenzano metodicamente la crescita. Paolino mi racconta poi della scarsità stagionale: "E' piovuto pochissimo e questi sono i risultati…", così come non dimentica di rievocare gli ultimi periodi: "Lo scorso anno, ma soprattutto il 2019, sono state stagioni da record, qualità e quantità ottimale, una vera soddisfazione per noi che li cerchiamo e per chi se li trova nel piatto".

Di certo, andare oggi per tartufi è "alla moda" e il pregio del prodotto tipico della Valtaro e Valceno è indiscusso ed innegabile. Negli ultimi vent'anni il numero dei "patentini" provinciali è stato in costante aumento, così come è accresciuta la consapevolezza della sostenibilità economica, ambientale e gastronomica del territorio appenninico.
 
Ebbene sì, andare per tartufi con Paolino e Black è stato bellissimo, una sana "boccata" di sapere e al tempo stesso d’umanità, un'occasione questa che mi ha anche portato alla scoperta di aspetti territoriali e storici che ignoravo o nemmeno immaginavo. Almeno per oggi, tutte le negatività, specialmente quelle che invadono ultimamente la nostra quotidianità, sono scomparse grazie alle parole pacate e spesso sagge del nostro gentile "tartufaio" bedoniese.
Grazie Black, Paolo e Gigi per avermi resa partecipe di questa indimenticabile esperienza: dal terreno al piatto di tagliatelle il passo è stato davvero breve. Ci vediamo al prossimo giro, magari tra gli argini della Bassa, dove il "bianco" cede spesso il passo al "nero".

A passeggio tra i boschi della Val Taro



2 Commenti
  1. Sonia Carini

    La valorizzazione del tartufo nero nelle valli del Ceno e del Taro (nel cuore delle mie origini), può raffigurare un modello di successo da concretizzarsi in tempi abbastanza brevi. La cooperazione deve essere la base di partenza, dagli amministratori pubblici agli operatori gastronomici, con una ricaduta economica quasi certa per aree interne bisognose di sviluppo. Gli esempi di questa avvenuta valorizzazione turistica sono diversi, gradi e piccoli, ad esempio il calestanese con Fragno e le terre marginali umbre o del marchigiano. Grazie a questa risorsa "nascosta" presente sul territorio, allo sfruttamento ambientale, alla proposta gastronomica, è immaginabile un ulteriore sviluppo al quale sarebbe necessario un riconoscimento IGP.

  2. Dolores

    Ora il tartufo è un tesoro del bosco ambito ed apprezzato in ogni dove... ma un tempo era sgradito per il suo odore sgradevole che oscurava quello dei porcini... Ricordo che 'allira' (60 anni fa) capitava nei nostri boschi un masantino che chiamavamo 'tenaia' in cerca di funghi e ogni volta 'u se ghe careghèiva'.... Era un omino con un cappellaccio sul capo a ripararsi dalle ramaglie boschive e ripeteva spesso... Prima di ripartire coi suoi cestoni colmi di profumati servetti... uno più bello dell'altro: ghe' di lavu' suttu te'ra chi pa'rena patate... ma i spu'ssena...

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