Maledetta primavera

Effetti, usi e costumi legati ai periodi di siccità, raccontati da Giacomino e Maria Pina
Alla fine il temporale è arrivato, ma che quello appena trascorso sia stato un inverno atipico l’abbiamo notato in molti. Per quanto possa essere piacevole vivere giornate assolate anziché piovose, percependo così la bella stagione con un largo anticipo, questa situazione ci porta inevitabilmente dei disagi. E’ un segnale piuttosto preoccupante per l’ambiente in cui viviamo, e che rischia di compromettere in modo grave i bacini idrici e le coltivazioni agricole.

A conferma di quanto premesso mi è venuto in soccorso, come sempre, il nostro appassionato meteorologo bedoniese Giacomino Gandi, che, con i sui dati puntuali, efficaci e competenti, traccia un quadro meteo inequivocabile: "A parte i due temporali a novembre, una nevischiata a dicembre e qualche giornata piovosa sparsa durante l'inverno, per il resto c’è stato cielo azzurro con temperature massime tendenzialmente sopra la media stagionale". In allegato una sua relazione di questi ultimi mesi, e una nota curiosa riguardante il mese di dicembre del 1963.  

Un vero salto indietro nel tempo lo facciamo invece con Maria Pina Agazzi, la quale mi racconta usi e costumi in voga fino ai primi anni ’60 e riguardanti proprio i cicli di siccità. Un periodo in cui quasi tutti i nostri progenitori erano contadini e l’agricoltura pesava sull’andamento della vita quotidiana, con la conseguenza che ogni piccolo appezzamento di terreno, a “prösa”, doveva rendere al massimo e senza tanti rischi.  
Così, quando la pioggia si faceva desiderare, il parroco annunciava l’orario della funzione e la gente si riuniva in chiesa con devozione a recitare tridui e novene per chiedere l’aiuto dal cielo: "Anche noi bambini, accompagnati dalle suore, andavamo di malavoglia, in quanto tutte le preghiere erano in latino e cantilenanti, e non capivamo niente".

Dopodiché mi racconta anche un aneddoto legato a quel tempo, quello del vecchio contadino "Custantén" che aveva una bella "prösa" terrazzata e seminata a melica, ma per la grande siccità in atto stava soffrendo e il suo raccolto era in pericolo. Così, quando il parroco annunciò il triduo propiziatorio attraverso il suono delle campane, "Custantén" si trovava all’osteria, ma da quel tavolo, con sopra il quartino di rosso, non si alzò nemmeno dietro l’invito dell’oste: "Ma ne te ghe vê in cesa? A to merega a sécca!". E lui, in tutta tranquillità, gli rispose:"Mi ne creidu che u Signù u g’abbia in mente a merega du Custantén"; e così ordinò un altro quartino di barbera, in barba alle preghiere e al granturco.

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FOTO: i dati di Gandi Giacomino



4 Commenti
  1. Virgy

    È vero pure i miei familiari me lo raccontavano sempre. Proprio qualche sera fa al telegiornale hanno fatto vedere un piccolo paese, credo in Piemonte, si usa ancora

  2. Geronima

    E quando pioveva troppo, c'era burrasca paurosa o grandinava, si esponeva la palma o l'ulivo benedetto, perché cessasse e soprattutto non facesse danni... Ricordi d'infanzia, di una vita dai ritmi più tranquilli e di rapporti molto umani!

  3. Anna Maria

    Si sì.... Però c'è pure una barzelletta, che un prete in val ceno radunava le persone per questo triduo, e intanto raccoglieva un po' di soldi... Ma questi parrocchiani ne davano pochi, allora il prete dal pulpito ha detto: guardate miei cari, con quello che abbiamo raccolto non riesco nemmeno a far arrivare le nuvole...
    Non vorrei che questi tridui fossero stati basati un po' sullo stesso livello...

  4. Emilio Guidetti

    Ho letto con interesse il tuo post, lo faccio sempre su tutti gli argomenti; questa volta in particolare sotto il profilo professionale. A parte il piace di leggerlo per come è scritto, ben poco di piacevole troviamo, invece, nel quadro allarmante che viene tracciato da Te e dai Tuoi lettori nei loro commenti.
    Ci siamo appena lasciati alle spalle il fenomeno del 2017, di cui abbiamo incassato gli ultimi fondi pochi giorni fa e, secondo le previsioni ci prepariamo ad affrontare una estate 2019 altrettanto difficile; prepararsi non è mai facile perchè non si sa come e quando verremo colpiti ma riteniamo di avere ben impiegato i precedenti fondi di protezione civile avviando opere di interconnessione che saranno utili anche al territorio per essere strutturalmente in grado di affrontare questi eventi, non di meno siamo stati destinatari di fondi della Regione Emilia Romagna (fondi FSC 2014-2020) che finanziano al 50 % interventi per la riduzione delle perdite ed auspichiamo di procedere celermente nell'esecuzione dei lavori.
    Gli investimenti necessari sono probabilmente al di sopra di quelli che la tariffa può finanziare e siamo quindi particolarmente attenti ad eventuali opportunità di finanziamenti aggiuntivi che possano essere impiegati a favore del territorio nel quale operiamo.
    Credo che avere consapevolezza del problema possa essere utile per provare a risolverlo o a lenirlo; per parte mia chiedo scusa della intrusione non richiesta ma l'argomento ha destato il mio interesse professionale .
    Seguirò con immutato interesse anche gli altri tuoi post che mi aiutano a conoscere il territorio in cui lavoro e che, proprio perchè sono qui per lavoro, conosco poco per le indubbie bellezze paesaggistiche, architettoniche e per l'accoglienza ed il cibo.
    Grazie - EG

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