È la vita di Giacomo e Giovanna
Raggiunto un bel traguardo di vita festeggiando sessant'anni di matrimonio. Una storia iniziata per caso a Selvola
Giovanna Ghiozzi è nata a Selvola il 19 maggio del 1942. La sua era una famiglia, esattamente come tutte le altre, che viveva coltivando la terra: “Non avevo nemmeno 10 anni che in estate mi mandavano sul monte Nero ad aiutare i miei fratelli, lassù tenevamo mucche e pecore al pascolo. Gli preparavo il pranzo e spezzavo i rametti per accendere il fuoco”.
Giacomo Bruschi invece è nato Bedonia, il 10 febbraio del 1935. Anche i suoi genitori erano contadini, ma si è sempre arrangiato a fare il muratore. Il suo primo vero lavoro lo svolse con l’impresa edile del bedoniese Primo Biolzi, proprio per costruire una casa da “terra a tetto” a Selvola: “A quel tempo ero stato assunto come manovale. Erano i primi anni ’50 e si andava fino ad Anzola con la corriera di Carpani, poi si proseguiva a piedi per la mulattiera. Ci fermavamo a Selvola per tutta la settimana, mangiavamo qualcosa all’osteria di Zanelli «Gianìn» e poi si tornava giù al venerdì sera. È lì che ho visto Giovanna per la prima volta, avrà avuto una decina d’anni… era seduta su un sasso che preparava gli “stecchi”, quando il mio capomastro Biolzi mi disse: «Vedi quella ragazzina? Quando sarà grande farà per te!». Poi, per dieci anni, non l’ho più vista”.
Giovanna, proprio per sottolineare il tempo che è passato, mi racconta un aneddoto: “Avrò avuto poco più di quindici anni e i miei genitori mi dissero di andare a Bedonia a comprarmi un paio di scarpe. Scesi a piedi fino ad Anzola, ma la corriera era appena partita. Non potevo tornarmene a casa, chissà quando mi avrebbero rimandata giù al mercato. Così mi incamminai a piedi, comprai gli scarponcini nella bottega di Raggi «Belagamba» e con qualche centesimo un gelato. Al ritorno mi premurai di non perdere la corriera, ci salii in anticipo. L’autista, quando mi vide, mi disse: «Questa mattina ti ho vista venir giù a piedi, e adesso non ti farò pagare il biglietto». Non ho mai capito se fosse stata una gentilezza o perché mi immaginava senza soldi. Non mi vergogno a dirlo”.
Giacomo lasciò invece Bedonia per il Canada. Nel 1956 s’imbarco a Genova, sulla nave passeggeri greca “Olympia”: sette giorni di navigazione, e sbarcò ad Halifax, poi altri sette giorni di treno per raggiungere la costa opposta, ed altri 6.000 chilometri per arrivare a Vancouver. Racconta: “Ho avuto una sfortuna sfacciata, trovai subito lavoro come muratore, anche se il desiderio era sempre quello di andare a New York, da mio zio Giovanni Noberini, ma non ce l’ho mai fatta, mi mancavano i permessi. Ci stavo comunque bene -guarda questa foto…- ma poi, dopo quattro anni e mezzo, decisi di tornare a casa. Per un anno e mezzo non combinai niente, poi nel luglio del ’62 andai a ballare a Selvola - il salone delle scuole elementari lo trasformavano provvisoriamente in balera- e fu quella sera che rividi Giovanna, ormai bella e cresciuta”.
Giovanna e Giacomo si sposarono sette mesi dopo, nonostante lei avesse vent’anni, quindi minorenne, ma, ottenuto il consenso, il 23 febbraio del 1963 erano già davanti all’altare della cappellina di Selvola: “Una giornata iniziata presto e come ogni mattina sono andata nella stalla a mungere le mucche, poi c’era da apparecchiare la grande tavola perché il pranzo di nozze lo facemmo in casa mia, saremo stati poco più di trenta persone, e ricordo anche che il giorno prima avevo preparato gli anolini per tutti. Nevicava bene, c’era quasi un metro di neve. Don Viviani era in ritardo, doveva arrivare da Drusco, così sono partite delle persone a fargli la rotta. Il giorno dopo non potemmo nemmeno partire per il viaggio di nozze, Giacomo l’avevano appena dimesso dall’ospedale, si era ferito a un occhio. Di quella giornata conserviamo solo una fotografia: ce la fece, per caso, il maestro Eugenio Botti, u Geniu de Remón di Anzola: essendo invitato a nozze, si era portato la macchina fotografica".
Decisero poi di venire ad abitare a Bedonia, a Pansamóra, dove i genitori dello sposo avevano un piccolo podere, con la stalla e gli animali. Giacomo venne però assunto dall’impresa edile “Foglia e Rizzi” di Parma, con la mansione di camionista, riuscendo a tornare a casa solo nel fine settimana.
Si dimostrò un lavoro troppo impegnativo e scomodo, così venne ingaggiato dall’impresa edile bedoniese “Ferri e Serpagli”: “In quel periodo presero l’appalto da don Renato Costa per la costruzione dell’Istituto San Marco… Io lo vidi veramente nascere: dalle fondamenta al tetto, giorno dopo giorno, fino al suo compimento. Quanti sassi, quanto cemento e quanto ferro che ho mai portato sulle spalle! Poi mi misi in proprio e iniziai a fare il piastrellista, un lavoro che ho mantenuto fino alla pensione”.
Quel loro viaggio di nozze “mancato” lo ripescarono venticinque anni dopo, in occasione del 25° di matrimonio. Fu così che salirono in macchina e arrivarono in Francia: “Raggiungemmo Lourdes, ma, siccome nevicava da giorni, tutto era chiuso. Così decidemmo di andare a Parigi, a trovare dei nostri famigliari... «Dove siete?» - ci chiesero al telefono - «In un viale con una grande arco...», «Aspettateci lì che veniamo a prendervi!»...”.
Adesso Giovanna e Giacomo si godono la meritata pensione da nonni. Domenica hanno festeggiato il 60° anniversario di matrimonio al ristorante “Mellini”, con loro i tre figli Gabriella, Giovanni e Stefania, oltre a cinque nipoti, quattro pronipoti e con il pensiero ai prossimi due gemelli in arrivo: “Ma per finire una cosa te la dobbiamo ancora dire… nella nostra vita siamo sempre stati tormentati dalla neve: quando ci siamo sposati nevicava, al 25° nevicava, al 50° nevicava, al 60° nevicava e… incö, primmu de mèrsu… nèiva!”.
Selvola, Anzola, Bedonia. Li conosco tramite i racconti di mio padre che iniziò proprio a Selvola la sua vita come partigiano. Auguri a questa coppia così tenace.
Che bella storia ! Il matrimonio in casa e gli anolini fatti dalla sposa il giorno prima !!! Mamma mia.. storie di un tempo povero, semplice con tante difficoltà ma, permeato di onestà , umanità e sentimenti sinceri. La nostra società sta perdendo questi valori.. è un gran peccato!
Un grazie a te Gigi, per raccogliere e regalare a noi lettori, la memoria di un tempo che sta diventando sempre più “sconosciutoâ€.
Amo questo tipo di storie. Quelle ascoltate, scritte, riportate. Mi piace ascoltare le generazioni che ci hanno preceduto, ad ascoltarli abbiamo solo da imparare e farne tesoro, forse a beneficio dei nostri figli. Complimenti a tutti e buon anniversario a i due signori e alla famiglia.
Amo queste storie e leggere dei miei amati nonni è emozionante.. siete stati sempre presenti e vi ho sempre visti con il sorriso anche noi momenti di difficoltà … siete la storia più bella. Vi amo immensamente.