La medaglia miracolosa delle suore
Era nella giornata del 7 dicembre che veniva distribuita la famosa medaglietta in alluminio
Fino agli anni '90 l’asilo infantile, oggi scuola materna, era gestito dalle Suore di san Vincenzo de' Paoli o della Carità, le cosiddette “Cappellone”. Suor Luisa (la superiora), suor Margherita, suor Angelica, suor Caterina (morta e sepolta a Bedonia nel '44) e suor Maria erano parte viva della vita bedoniese. Erano tutte abili ricamatrici, rammendatrici, magliaie, cuoche, maestre, pianiste ed anche registe di tante belle operette e commedie; infine, ma non per ultimo, opportune confidenti.
Sì, le suore erano le confidenti e le consolatrici di tante Bedoniesi. Una signorina ormai più che novantenne, tipo alquanto originale, andava spesso a chiedere conforto a suor Luisa, perché il fidanzato, a suo dire, “ballava un po' nel manico”. La suora per consolarla le diceva: “Ti succede questo perché il Signore ti vuole bene e ti vuol mettere alla prova”. Però, un bel giorno, dopo la solita frase di conforto, la “ragazza” esplose: “Va bèn ch’u Signù u me vöja bèn, ma ch’u me sia mattu adree no eh… ghe n’ô propiu asê!”.
Arrivarono qualche anno dopo la 1° Guerra Mondiale e, tra i vari insegnamenti, portarono la devozione per la “Medaglia miracolosa”. Penso che tutti i Bedoniesi e non solo, allora, avessero in casa una medaglietta regalata dalle suore, specialmente le bambine e le ragazze, che di santa Caterina Labouré (1806-1876) conoscevano tutto. Nel 1830, infatti, la Madonna era apparsa a suor Labouré, dicendole di far coniare una medaglia (in alluminio) con la sua effige, raccomandando di divulgarne la devozione per ottenere grazia ed aiuto.
Le suore leggevano e raccontavano alle ragazze la vita di questa loro consorella, e spesso facevano loro recitare la “coroncina” (un rosario senza i misteri) quando si andava “in laboratorio” per imparare a ricamare il corredo da sposa.
Nel nostro asilo c'era la cappellina (eliminata durante l’ultima ristrutturazione, ma perché?) con la statua della Madonna e le preghiere lì accanto, proprio come nella “medaglietta miracolosa”. Anche all'ospedale di Borgotaro, le suore cappellone (che allora c'erano e coordinavano le infermiere) si premuravano di donare la medaglietta a tutti i degenti: veniva legata al polso con un filo azzurro. Era bello vedere le puerpere e i loro piccini con questo semplice segno di tanta devozione.
La ricorrenza della “Medaglia miracolosa” cade il 27 novembre, giorno in cui apparve a Suor Caterina Labouré la Santa Vergine, ma le nostre suore la celebravano il 7 dicembre. Al mattino alle 7, il padre spirituale, Don Perini, celebrava la messa nella cappellina. Terminata la funzione, il momento più atteso: suor Luisa e la Superiora distribuivano la medaglia miracolosa, legata ad un semplice cordoncino azzurro.
A Maria Pina sorge un dubbio; e avanza una spiegazione: “Come mai alla festa della Medaglia miracolosa c'erano solo mamme, ragazze, signorine, bambine, cioè solo femmine? Forse perché la Chiesa, allora, era molto maschilista e pensava che le ragazze, se ben influenzate e indottrinate, potessero spronare anche i maschi a vivere il più possibile secondo i dettami del Vangelo?”
Ha collaborato a questo post:
Le ho conservate quasi tutte. Belle tradizioni ormai sepolte. Come ricorda Maria Pina c'era una chiesetta meravigliosa con statue e marmi stupendi, tanto cara ai Bedoniesi, soprattutto perché in tantissimi si sono sposati lì compreso le mie zie, e mio papà con mamma.
Nel 1950 ho avuto la medaglietta della Madonna di Bedonia. Ho imparato i primi ricami nel laboratorio del'asilo
Noi, in casa, ne abbiamo più di una. Sbucano fuori ogni volta che frugo in qualche cassetto della casa di mia nonna oppure da mia suocera. Nessun asilo, però. Nemmeno ad uso esclusivo femminile. Solo una famiglia di grande fede cristiana e l'appartenenza ai fabbriceri della parrocchia. Infatti, su ogni stola che veniva usata nelle cerimonie ce n'è una, insieme ad una croce nera bordata d'argento.
Pure io non conoscevo il significato di questa piccola medaglietta. Ho sempre pensato che raffigurasse l'immagine della madonna, al contrario ha in sé un avvenimento accaduto un secolo fa e la devozione di un intero ordine monacale. Riferirò all'ignara mamma
Quante coroncine ho recitato con Suor Angelica nel laboratorio a ricamare......si, ho ancora una medaglia datami da Suor Angelica. Quante volte sono entrata nella bellissima capellina a pregare!
Grazie per aver condiviso questa bellissima storia piena di cari ricordi!
Dato che il blog (per fortuna) è letto anche fuori provincia, sarebbe opportuna la traduzione della frase dialettale. Di cui non riesco a decifrare la parte finale. Anche se la intuisco...
Le uniche medaglie della mia vita
Quand'ero bagascetto (bambino) arrivava a Tolcedo, rigorosamente a piedi e un paio di volte all'anno, un venditore ambulante con un assortimento di materiale da merceria: Aghi, filo, pezze di stoffa di lino, bottoni, ecc. Lo chiamavano "U mersain de Bedonia". Si fermava presso ogni casa, deponeva e apriva il grosso fagotto che portava sulle spalle e metteva in bella mostra le sue meraviglie. Per me era una fonte di grande gioia, anche perché mi regalava ogni volta una biglia di vetro.
Lo ricordo qui in quanto sulle magliette di lana da pelle (marioli), che mi facevano indossare i miei genitori (i mae baccaen), c'era cucita una medaglietta come quella riprodotta nel post condiviso.
Adesso ho capito l'origine di quella tradizione.
Sono un vecchio peccatore non pentito, ma vi confesso che - al momento - ho gli occhi lucidi...
Eccomi Candido. Ha ragione, la frase dialettale tradotta è questa:
Va bene che il Signore mi voglia bene, ma che sia anche infervorato di me no ehh, ne ho proprio abbastanza"
Indimenticabili le suore dell'asilo infantile e la loro biblioteca! E di fronte a loro c'era un'altra biblioteca per me favolosa, quella della maestra Dirce Barusi, che fu l'unica vittima bedoniese dell'influenza Asiatica del 1956. La suor Luisa che ricordo io non era superiora, ma una donna pratica e un po' in carne, abile in tante cose, come la preparazione di unguenti miracolosi. Ottimo ricordo anche di una superiora molto aristocratica di modi e aspetto. E ovviamente suor Angelica che, paremi, fu l'ultima suora a risiedere all'asilo. Peccato che nessuna di loro abbia lasciato delle memorie, perché ne avevano viste e sentite tante. Anche perché si trovavano in mezzo alla caserma dei carabinieri e alla premiata ditta di bevande Felloni. Le donne della mia via (Mons. Checchi) cercavano di evitarle solo per poche ore e solo il primo gennaio, quando andavano a messa prima passando per la vecchia passerella e il portico dove lavorava l'"artigiano della qualità" Menelik con le sue poltrone e sofà, o il vicolo al cui angolo si trovava (e si trova ancora) il forno du Markitu o Cucu. C'era infatti la superstizione che il nuovo anno sarebbe andato male se la prima persona che s'incontrava fuori casa quel giorno era un prete o una suora. E quel giorno di festa non c'era nemmeno la possibilità di incontrare qualche meccanico o autista di Carpani.
Peppino Serpagli - Milano
Non avendo ricordi diretti e significativi di asilo a Bedonia (ma solo di scuole elementari: altro mondo...), mi limiterò a una sana curiosità: ma questo "fidanzato" dell'arzilla signorina, non è che per caso facesse il furbo in ragione di una sua più giovane età (ad es., 80-85enne)?
A casa nostra le medagliette le portava sempre suor Rosalia, sorella di mia madre, che insegnava "belle lettere" in un collegio femminile a Virle Piemonte. Anche lei era suora di San Vincenzo e quando una volta all'anno veniva a Bedonia per trovarci e per andare al cimitero sulla tomba dei suoi cari, doveva rigorosamente alloggiare presso le consorelle dell'asilo e solo qualche volta aveva il permesso dalla Superiora, di pranzare con la famiglia. Una delle medagliette della zia suora è incollata al cruscotto della mia auto e mi accompagna nei miei viaggi.
"Nel 1830, infatti, la Madonna era apparsa a suor Labouré, dicendole di far coniare una medaglia (in alluminio)"
Qualcosa non torna in questa storia. Nel ottocento, l'alluminio era più caro del oro, perché non esistevano tecnologie per raffinarlo. Fu solo verso 1890 che fu sviluppato il processo per farlo a buon prezzo. Napoleone III quando aveva a pranzo i suoi invitati più illustri, faceva servire su piatti di alluminio, tenendo quelli di oro per commensali di secondo livello.
Quindi ho dei dubbi, o forse la suor Laboure era di famiglia molto benestante, o forse si e inventato il tutto.