Il tempo nel bicchiere

Carlo racconta una storia che inizia in Portogallo nel 1875, passando per il Piemonte e finita a Bedonia
Un sorso ed è stato come affrontare un lungo viaggio. Un tragitto che va dal Portogallo all’Italia, da Porto a Genova e poi da Ovada a Bedonia. Siamo in quell’Italia ancora giovincella, dalla sua unificazione erano appena passati quattordici anni. Durante questa cena, in compagnia delle torte nostrane preparate dalla signora "Assunta di Anzola", siamo riusciti a riavvolgere il tempo fino al 1875. Nessun Professor Brown “Doc” e nessuna macchina del tempo. Il merito è stato di una bottiglia di Porto, il vino liquoroso portoghese, una ventina i gradi alcolici.
Un reperto scovato, anzi dimenticato insieme a altre bottiglie, da mio fratello Carlo nel fondo di una cantina e il cartiglio legato con lo spago alla cassa indicava: “Porto Vecchio 1875”, da lì hai poi preso la strada per raggiungere la sua cantina di Bedonia. Fino a stasera.

La storia inizia in Piemonte, più precisamente sulle colline di Ovada, a Tagliolo, in Monferrato. Il castello è quello della Marchesa Eugenia Pinelli Gentile. Una dinastia di vignaioli: “Il bisnonno era andato all’esposizione di Bordeaux del 1895 e tornò con dei vagoni di terreno prelevato nelle vigne di Bordeaux. Dopo che erano arrivati alla stazione di Ovada li scaricò nella sua proprietà nel tentativo di ricreare le condizioni ottimali per far crescere le sue viti”. Una scelta senz’altro stravagante, tuttavia i discendenti di Giuseppe sono ancora oggi produttori di vino Dolcetto.

Torniamo alla bottiglia: soffiata a mano; con lo zucchero cristallizzato sul vetro, tanto da renderla ancora trasparente e non macchiata; con un tappo in sughero a “cuneo” e la ceralacca rossa a difendere quel contenuto fino a oggi. L’etichetta riportava a stampa un nome “Tagliolo” mentre a matita “Porto Vecchio 1875”. Quel vino aveva atteso a sufficienza, il suo tempo era arrivato: “Come sarà?”. Un dubbio concesso.
Il tappo era piccolo ma integro, un buon segno. Carlo, con il bicchiere in mano, recita qualche passo di Bono Giamboni, moralista del '200: “In figurato cristallo che spenga la sete anche negli occhi...”. Il colore pulito e rubino trasmettevano altre buone speranze. Poi la certezza, il profumo che piano piano progrediva, quasi a considerare quel lungo lasso di tempo quasi un’ipotesi, tanto da farlo apparire gradevole.

Quel momento aveva bisogno della penombra data dalle candele. Assaggiarlo è stata un’emozione, in quei momenti la mente volava altrove: a quell’anno dell’800, all’imbarco delle botti in Portogallo, al viaggio in nave verso l’Italia, al mare, ai marinai e ai camalli di Genova, poi al trasporto su terra fino a Ovada, a quella cantina del castello, alla distrazione del cantiniere, al rinvenimento. Al palato gli aromi erano ancora robusti: liquirizia, cannella e un sentore di legno, anzi di botte contenente cherry. Un bicchiere bevuto col naso.
In questo caso il tempo era invece importante, l’ossigeno correva più forte delle emozioni, dopo dieci minuti il profumo lasciava spazio al gusto, ribaltando, di fatto, i ruoli sensoriali. Una bella serata, di “Enozioni” autentiche.

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FOTO: i particolari della bottiglia



3 Commenti
  1. Raffaella

    Che storia meravigliosa, grazie! Ma com'e' arrivata ad Anzola?

  2. Maria Juanola

    Meraviglioso racconto... è stato come assaggiare un sorso virtuale. Grazie 😊

  3. Il Geom.

    Il vino è poesia e come essa, se ben strutturato e amorevolmente conservato, diventa immortale.

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