Questo “flashback” meraviglioso, che mancava dentro alla mia “scatola dei ricordi”, me lo ha donato un bedoniese doc: Enrico Serpagli, anzi “Giuliettu du Morettu”. Lo scrisse qualche anno fa per pubblicarlo su Esvaso, però non trovavo fotografie per poter incorniciare le sue parole con le immagini. Ho migliaia di foto, ma nessuna scattata dentro a questa famosa balera gestita dalla famiglia Franchi. Ne posseggo solo alcune: un paio scattate davanti all’ingresso e quelle del campo da bocce sul retro (in allegato). Ora vanno bene ugualmente. Qualche giorno fa ci ha lasciati il suo ideatore, Pietro Franchi: ecco quindi un’occasione, non più rimandabile, per omaggiarlo e ricordarlo attraverso i bei ricordi che, ancor oggi, in molti Bedoniesi, suscita il suo “glorioso” locale.
G. C.
In tempi “geologici” antecedenti ai tuoi, caro Gigi, è esistita a Bedonia, a quattro passi dal centro, una balera un poco sui generis, che era aperta solo al sabato sera e, per quello che ricordo, durante i mesi estivi. Siamo negli anni ’50, e i ragazzi di Bedonia andavano a ballare presso l'osteria “da Franchi” appena sopra San Marco, sulla strada per Montevacà (oggi trattoria da Cocò).
Franchi non era una “discoteca” nel senso letterale del termine: non si ballava infatti per mezzo dei dischi, ma al suono della fisarmonica e della batteria. Il “disc-jockey” era Putacéllu, un fisarmonicista fantastico e creativo, spesso accompagnato da un batterista biondo altrettanto eccezionale: Tógnu de Zeliàn.
Il nostro Putacello arrivava da Franchi verso le 20, a cavallo di una 500 Guzzi, con il suo batterista sul sellino posteriore. I due passavano prima in cucina, dove li aspettava un piatto di minestra e un bicchiere di vino, e poi si sistemavano in un angolo della sala. Il fisarmonicista “indossava” subito il suo strumento, e incominciavano a sentirsi canzoni “moderne”, oltre a valzer, mazurche, tanghi e valzer lenti. Il suo estroso vice lo accompagnava con una batteria molto rudimentale e, tante volte, arrivava a tenere il ritmo con le bacchette della batteria contro il muro della sala. Ogni tre suonate c’era una pausa accompagnata da qualche bicchiere di bianco, cosicché gli orchestrali alle 23 erano ormai “brilli” e a mezzanotte erano molto più in là…
Noi ragazzi di Bedonia di 17-20 anni andavamo volentieri da Franchi, perché lì si imparava a ballare, e quindi non si faceva poi brutta figura con le ragazze di Bedonia-city. Le nostre ballerine erano delle ragazze che provenivano sostanzialmente dalle case sparse sopra Bedonia: Rio Merlino, Ceio, Fontanabonardi, altre da Monti, dalla Libbia e dal Prato. Quasi tutte le ragazze erano accompagnate dalle madri e arrivavano da Franchi a piedi e con gli scarponi impolverati, poiché a quei tempi la strada non era ancora asfaltata.
Prima di entrare nella sala indossavano le scarpe da ballo che avevano portato in una borsa. Le mamme si sedevano a schiera lungo il perimetro della sala e controllavano a vista i ballerini, soprattutto durante i “lenti”. Ogni tanto qualche ragazzo un po’ più maturo di noi, e che aveva messo gli occhi su una delle fanciulle, invitava a un “giro” di valzer anche la madre, sperando così di entrare nei suoi favori.
Col valzer della mezzanotte tutto finiva. Le ragazze, quasi novelle cenerentole, si rimettevano gli scarponi, Putacello e il suo assistente risalivano sulla Guzzi e sparivano rombando nella notte dopo una partenza a zig-zag a causa dei numerosi “bianchetti”. Noi tornavamo a Bedonia, il più delle volte a piedi, ma qualche volta con la Balilla che Pietro Galli aveva “presa in prestito” da suo padre. Ricordo solo alcuni altri della compagnia: Roger Rossi, Marco Serpagli (il fabbro), Angelo Mariani (sua madre aveva un negozietto di chincaglierie nella Piazzetta), Antonio Silva detto Cosìba, Romano Fiduciosi (sua sorella sposò la guardia comunale Stüvétta).
Le nostre “notti brave” del sabato finivano il più delle volte tranquillamente a chiacchiere sulla panchina della piazzetta davanti alla chiesa. Ma qualche volta ci toccava rincasare bagnati, a causa delle secchiate d’acqua che arrivavano da una finestra del secondo piano, proprio sulla panchina suddetta: questo accadeva quando le nostre risate disturbavano il sonno di una gentil signora…