Lo sviluppo delle valli: un'altra puntata
Dove andiamo e dove potremmo andare? Un convegno dedicato alla visione di un'altra valle
Il seguito, in quanto questa volta lo sviluppo delle Alti Valli del Taro e Ceno è stato declinato sulla base della sua sostenibilità di lungo periodo, ovvero di quel nuovo paradigma che, dopo la disastrosa crisi finanziario-economica che ha minato alla radice l’economia mondiale nel corso degli ultimi dieci anni, si stà affermando come il metro giusto per misurare la bontà delle azioni intraprese e il loro impatto nel lungo termine. Sostenibilità che, naturalmente, è da intendersi in tutte le sue accezioni: sociale, in primis, in modo che lo sviluppo sia inclusivo e partecipato; ambientale, affinchè lo sviluppo sia circolare, capace di lasciare alle generazioni future la stessa quantità e qualità di risorse di quelle utilizzate; finanziaria, sicchè gli attori coinvolti traggano la necessaria remunerazione dai loro sforzi ed investimenti; e, naturalmente, economica, sicchè l’intera comunità possa avvantaggiarsi, in termini di crescita globale, degli sforzi imprenditoriali dei singoli. Quindi, uno sviluppo, “equilibrato” e rispettoso delle risorse disponibili, sia materiali che immateriali.
Punto di partenza dell’incontro: “da dove veniamo”. Documenti e memoria storica ce lo dicon chiaramente: da una tipologia di sviluppo basata sullo sfruttamento delle (spesso scarse) risorse naturali e produttive che madre natura aveva messo a disposizione o che, gli stessi montanari, nel corso dei secoli, hanno saputo rendere disponili coltivando la terra, sfruttando le foreste ed allevando animali. Un patrimonio fatto di conoscenze/buone pratiche, razze animali e varietà frutticole ormai purtroppo in gran parte scomparse, pure causa il drastico declino della consistenza delle popolazioni valligiane ed al risultante abbandono dei territori montani.
“Dove andiamo e dove potremmo andare”: se il dove stiamo andando rimane, al momento, ancora abbastanza oscuro, il “dove potremmo andare” ce lo indicano, forse, gli sforzi “eroici” degli imprenditori (seppur ancora pochi e per lo più “foresti”) che hanno avuto il coraggio di investire ed investirsi, assieme alle proprie famiglie, in attività produttive in perfetta armonia con la vocazione naturale, la storia e le tradizioni di queste valli. Attività in grado di:
(I) garantire produzioni agricole e zootecniche di qualità e, spesso, certificate (bio etc), grazie all’uso di tecniche e pratiche produttive sostenibili;
(II) fornire servizi (agro ed eco) turistici di nuova generazione, che vertono sulla offerta di alimenti genuini e preparati con ricette tradizionali e spesso uniche, di ambienti salubri e caratteristici, di relazioni dirette con i contesti naturali e rurali in cui gli stessi servizi sono generati;
(III) offrire servizi sociali (rivolti all’infanzia, alla cura di devianze, agli anziani) in contesti (rurali, per l’appunto) diversi da quelli nei quali sono tradizionalmente forniti;
(IV) utilizzare razionalmente le risorse forestali di cui la nostra montagna sempre più abbonda. Ancora piccole testimonianze, “non messe a sistema”, ma comunque in crescita e che sicuramente potrebbero essere molte di più, viste le grandi opportunità che pure la legislazione corrente in proposito offre, come i competenti relatori hanno tenuto più volte a sottolineare.
“Quindi”? Il convegno le conclusioni non le ha tirate. Ha solo definito i contorni dei possibili (reali ed immaginari) “territori futuri”. Qualche cosa aveva invece, in proposito, azzardato un convegno simile organizzato, nel Giugno del 2016, presso la stessa sede, dalla piattaforma “Love Taro&Ceno”. In quel contesto, si erano infatti prospettate varie, possibili misure, basate sulla creazione di un “Distretto Bio” concernente le due Valli; sulla realizzazione di un “Marchio di Valle”; sulla messa a sistema delle attività dei singol imprenditori per supportarne gli sforzi produttivi e, soprattutto, di marketing, tramite l’uso della stessa piattaforma “Love Taro&Ceno”; su sinergie con il mondo della ricerca e della formazione, sia locale (incluso il nuovo istituto tecnico-agrario), che esterna. Qualche cosa è stato nel frattempo fatto (nel contesto od al di fuori della piattaforma); moltissimo resta ancora da fare. Quello che l’incontro ha chiaramente evidenziato è che la posta in gioca giustifica la ripresa ed il rafforzamento degli sforzi finora fatti, sia da parte dei singoli imprenditori che, soprattutto –a mio parere, delle istituzioni, locali e non, deputate a guidare e velare sui processi di sviluppo dei nostri territori montani.
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LINK: La vita e il lavoro in Appennino
Le testimonianze del Convegno sono state di coloro che già operano e credono in uno sviluppo possibile di valle:
Alberto Chiappari, Evoluzione e prospettive dellagricoltura di Montagna;
Nicolò Madoni, Il ruolo della scuola nel settore ambientale e agro-forestale;
Antonio Mortali, La certificazione forestale PEFC: un'opportunità per i boschi della Valtaro.
Altre interessanti esperienze in atto:
Stefano Cacchioli, Il caseificio di Borgotaro fra tradizione e innovazione;
Amos Chiappa, Lallevamento nelle aree periferiche;
Dario Confalonieri, La produzione del formaggio di capra;
Mario Marini, Lagriturismo e il binomio agricoltura-turismo;
Massimo Monteverde, Il consorzio della patata Quarantina genovese;
Francesco Querzola, Il frutteto bio e lavvio della "Fattoria della Carità";
Iris Wittwer, Il consorzio carne bio Valtaro Valceno .
La provincia di Parma è territorialmente tripartita: fascia di pianura, fascia pedemontana, fascia montana. Basta guardare la cartina geografica per cogliere le differenze. Un legislatore/decisore accorto che, anche blandamente, abbia la fisionomia del Principe di cui parla Machiavelli, intuirebbe che ogni "fascia" ha bisogno di politiche originali e mirate alle specifiche vocazionalità.
Ciò che va bene per la pianura non va bene per la montagna ( e viceversa).
Tutto è differente: il clima, l'orografia, la viabilità, i tempi del lavoro e della vita....Il Principe che non c'è, dovrebbe comprendere come serva che l'uomo si adatti al territorio e non viceversa. Comprendere questo vuole dire evitare quelle scelte violente e invasive, come importare produzioni aliene, con la scusa di portare sviluppo. La montagna ha le sue peculiarità che vanno assecondate. Non ci sono "standard" da applicare, ma scelte mirate da compiere. Dunque, la prima cosa che si deve comprendere, che attiene alla sfera culturale, è che lo sviluppo ( termine quanto mai vago e ambiguo), non necessariamente deve coincidere con l'implementazione di ecomostri che violentano il Capitale Naturale.
Nel terzo millennio, ci sono attività economiche e finanziarie che,pure non producendo manufatti,spostano ricchezza, senza confezionare uno spillo! Infatti, le prime cinque multinazionali al mondo per fatturato, offrono servizi ( Google, Amazon, Facebook, Yahoo, Microsoft). Il vecchio modello economico, basato su ciclo denaro-merce-denaro, a cui corrispondeva l'esigenza di disporre di grandi quantità di energia, di superfici da riservare a implementazione di opifici, di un sistema viario e ferroviario strategico e capillare ( soprattutto sviluppato nella direzione della Mitteleuropa), ha molto meno senso che in passato. Oggi le "autostrade" sono quelle digitali e, come ci insegnano molte aziende sul mercato, la base della produzione e della vendita sta nell'informazione e nella sua oculata gestione. Se le cose stanno così, allora ciò che per anni ha rappresentato la dannazione della montagna, ossia il suo isolamento, oggi, non solo è divenuto un problema superabile, ma persino un grande vantaggio.
Infatti, di pari passo con uno sviluppo caotico, basato sull'idea della crescita senza fine, abbiamo assistito a due fenomeni estremamente preoccupanti: l'esplosione demografica e il peggioramento progressivo e, purtroppo irreversibile, degli ecosistemi. Oggi, alla luce dell'esperienza di due secoli e mezzo: periodo sicuramente con molte luci e altrettante ombre, serve un ragionamento di ampio respiro che incoraggi profondi cambiamenti, di metodi e indirizzi. Dobbiamo cominciare a ragionare di entropia; perciò dell'esigenza di adottare sistemi "chiusi", basati sull'economia circolare, sensu Georgescu Roegen. Ossia del fatto che non ci possiamo piu' permettere nè di intaccare il Capitale Naturale per ottenere energia e materie prime, nè di perpetuare un sistema basato sullo spreco, sull'usa e getta.Oggi è imperativo che si parli di "materie prime seconde"; ossia che un prodotto dismesso, totalmente o parzialmente, diventi materia prima per un ulteriore prodotto, secondo la logica dei "mattoncini Lego". Se si rompe un pezzo o diviene obsoleto, cambi quello, non tutto il manufatto e quello che cambi non lo butti, ma lo reimpieghi.La montagna, per sua precipua vocazionalità, può essere, in questo senso, un grande laboratorio ad alta efficienza e bassissima entropia.I montanari, da sempre, sono abituati a non buttare e a riciclare il piu' possibile.
Occorre inserire un altro elemento: ossia ragionare sulle comunità che si fanno sistema circolare. Qui si innesta l'esigenza del consumo a chilometro zero, l'autoproduzione; nonché valori come la sussidiarietà, la condivisione, anche con forme che superino lo scambio merce-denaro, con forme attuabili di baratto. Non sono le idee che mancano e neppure gli esempi basati sulla resilienza delle comunità. Il compito del "Principe" è quello di comprendere per decidere. Dote rara, di questi tempi.